giovedì 22 ottobre 2009
Italia-Serbia, via le mine ma la ruggine resta
Aiuti per lo sminamento, sponsor per l'Europa e accordo Fiat Zastava. Ma per alcuni non basta per cancellare i ricordi dei bombardamenti
Matrimonio d'eccezione tra l'Italia e la Serbia. Il 12 ottobre scorso Roma ha donato a Belgrado materiale e apparecchiature militari destinate all'individuazione, alla rimozione e alla distruzione di ordigni inesplosi, per un valore complessivo di 600mila euro.
Cerimonia ufficiale. A consegnare l'equipaggiamento è stato l'addetto militare presso l'ambasciata d'Italia a Belgrado, generale Mauro De Vincentis, in una cerimonia all'aeroporto di Nis, nella Serbia meridionale.
Secondo le dichiarazioni del ministero degli Esteri italiano, ''questo gesto rappresenta il primo aiuto concreto alla Serbia da parte di un paese della Nato, volto a sanare le disastrose conseguenze dei bombardamenti aerei del 1999''. Gli stessi bombardamenti a cui partecipò l'Italia. Guerra a parte, le relazioni diplomatiche tra i due paesi vanno a gonfie vele. Con il rientro a Roma dell'ambasciatore Raskovic-Ivic e con le politiche 'occidentali' del nuovo governo serbo, guidato dal democratico Mirko Cvetkovic, Belgrado spinge per arrivare il prima possibile in Europa. Anche grazie all'Italia. A novembre, infatti, la Serbia firmerà una partnership strategica con il Bel Paese che la supporterà nella strada verso l'adesione alla Ue. Una special relationship che non è una novità. Dando uno sguardo al sito dell'Istituto del Commercio Estero italiano, infatti, l'elenco di 18 pagine di imprese tricolori presenti in Serbia fa pensare che il passato sia alle spalle. L'Italia, al terzo posto nell'interscambio con la Serbia (dopo Russia e Germania), in due anni ha firmato due protocolli d'intesa (nel 2008, tra i ministeri della Difesa di Italia e Serbia e tra il vice ministro allo Sviluppo economico con delega al commercio estero, Adolfo Urso e il ministro serbo dell'Economia e dello Sviluppo Regionale Mladjan Dinkic), e ha dato vita alla joint veinture Fiat-Zastava. Torino investe a Belgrado. ''Un'opportunità eccezionale''. Queste le parole che l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, usava per descrivere l'accordo. Precipitata allo 0 percento di crescita nel 2009 con un'inflazione tra il 9 e il 10 percento, la disoccupazione che supera il 20 percento e lo stipendio medio che va dai 200 ai 500 euro, la Serbia accetta, sorvolando i fatti del 1999, le scuse italiane accogliendone gli investimenti con gran entusiasmo. Lo striscione ''W la Fiat'', appeso ad un cavalcavia dell'autostrada, celebra l'evento. Grazie alle trecento imprese nate dall'accordo Fiat-Zastava, 350mila persone torneranno ad avere un lavoro.
E la parternship serba rappresenta un'occasione da non perdere, soprattutto per l'Italia. L'avvio della produzione di automobili in Serbia ''è un tassello fondamentale per lo sviluppo collettivo del gruppo Fiat e il più significativo in termini di potenziale: abbiamo aspettato un bel po' di tempo per trovare un paese che ci avrebbe ospitato'', ha ammesso il manager italiano. Si tratta di investimenti di ''circa 940 milioni di euro''. Per l'Italia, ''un'irripetibile opportunità, con particolare riferimento al settore industriale e commerciale ed alla presenza italiana in settori strategici (telecomunicazioni, infrastrutture, banche)''. Di più, raccogliendo investimenti, la Serbia offre all'Italia un'area franca, con tasse al minimo o nulle (si va dal 10 percento a scendere a seconda degli investimenti fino allo zero per gli utili reinvestiti), terreni gratis per le aziende, ma soprattutto la possibilità di esportare dalla Serbia senza alcun dazio doganale su un mercato da 800 milioni di clienti, Ue compresa. Da 4 a 5 mila euro per chi investe in zone svantaggiate da Kraguievac a Nis fino al Sud, tassazione al minimo, costo del lavoro molto basso e alta specializzazione dei lavoratori. Una grande occasione per l'Italia, che ora prova a ricambiare il favore donando a Belgrado materiale e apparecchiature militari destinate all'individuazione, alla rimozione e alla distruzione delle mine, eredità dei bombardamenti Nato, per un valore complessivo di 600mila euro.
Ma non è tutto oro quello che luccica. Mentre a Nis si aspetta di veder rimossi gli ordigni inesplosi, seduta davanti al Palazzo Vecchio della capitale, Mariana Galešević, studentessa di economia all'Università di Belgrado, racconta i grandi giochi di denaro e di potere. ''Nella primavera del 1999, l'obiettivo strategico dell'Alleanza era quello di concorrere al raggiungimento di una soluzione pacifica della crisi del Kosovo. Sì, a suon di bombardamenti. Quelli che contano poco, come me, devono accontentarsi di stare a guardare, di inveire.
Inveire perché tutti questi favori che ci fa l'Europa sono solo frutto dei rimorsi di aver condotto una guerra disastrosa. L'accordo con la Fiat è un accordo asimmetrico. Gioverà alla Serbia solo se verranno impiegati i lavoratori serbi e non quelli italiani». Per quanto riguarda l'ultima donazione, invece, secondo Mariana l'intesa Italia-Serbia non è un affare, ma la beffa del secolo. «Se non ci fosse stata la guerra non ci sarebbe stato neanche il bisogno di donare dei soldi per eliminare gli ordigni inesplosi. Ora la fanno passare come un gesto di solidarietà e cooperazione, ma la guerra l'hanno voluta loro. L'Italia si lava la coscienza, mentre la Serbia è costretta a ringraziare. Della serie, ''se state buoni forse otterrete lo status di paese candidato ed entrerete nella lista bianca di Schengen''. Mariana è arrabbiatissima. Stringe i pugni e cambia discorso mentre nel cielo sopra al Palazzo Vecchio volano palloncini rossi, blu, bianchi e verdi. ''I colori della bandiera italiana e serba'', dice. Forse, un modo per celebrare l'intesa tra i due paesi. Questa partneship perfetta.
di Giulia Cerino da PeaceReporter
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