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venerdì 23 ottobre 2009

Da Kyoto a Copenhagen

di Anna Pacilli

I ministri dell’ambiente dell’Europa a 27 hanno approvato ieri un documento, da portare alla conferenza mondiale sul clima, a dicembre a Copenhagen, che punta alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica tra l’80 e il 95 per cento entro il 2050. Certamente un passo significativo in questa fase di stallo dei negoziati per un nuovo accordo sul clima, ma probabilmente non in grado di salvare un vertice che pare destinato al fallimento [le «quattro cattive ragioni» per cui in Danimarca non si approverà un prolungamento del protocollo di Kyoto le motiva Riccardo Petrella, sul numero di Carta in edicola domani]. In effetti, le stesse buone intenzioni dimostrate dai ministri dell’ambiente europei, compresa la ministra Stefania Prestigiacomo, sono state di fatto depotenziate «preventivamente» dai loro colleghi dell’economia. Anche loro riuniti a Bruxelles, ma il giorno prima, non sono riusciti ad accordarsi sulle risorse da destinare ai paesi in via di sviluppo per «aiutarli» a sottoscrivere un nuovo patto sul clima. Proprio nel mancato compromesso fra nord e sud del mondo sta una delle cause del disastro annunciato di Copenhagen, che ha negli Stati uniti un altro corno del problema. Anche qui, nonostante le buone intenzioni, il presidente Barak Obama ha margini di manovra ben ridotti, come dimostra la resistenza non solo dei repubblicani a far passare, al senato, la sua legge per la riduzione delle emissioni di gas serra [meno 83 per cento entro il 2050 rispetto ai livelli del 2005]. E per non farla approvare, meno che mai in tempo per Copenhagen, è partita da Austin, Texas, l’offensiva pesante della potente lobby petrolifera, che con quella legge perderebbe miliardi di dollari.

da Carta

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