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giovedì 8 ottobre 2009

Caro Nichi, è l'ora della politica

Bruno Steri,Claudio Grassi
Articolo pubblicato il 6 ottobre da il manifesto


Caro Nichi,

ma avremmo potuto dire: caro Franco, caro Gennaro. Infatti intendiamo rivolgerci a quella parte di Sinistra e Libertà che più conosciamo, avendo condiviso una lunga (ancorché assai contrastata) militanza nel medesimo partito. Il fatto è che quest'ultima tornata di elezioni in alcuni importanti Paesi europei ci fa riflettere. E ci induce a non indugiare e a muovere passi che sappiamo arrischiati: come questa lettera-invito, che certamente può urtare in rancori, veti incrociati, resistenze politiche. Ma tant'è: come tutte le storie, anche le storie passate avranno pur avuto un senso.

Queste elezioni hanno confermato due fatti politici che - benché minimizzati, se non addirittura oscurati nei vari salotti televisivi - a noi paiono di solare evidenza: il fallimento delle politiche di centro-sinistra (con il connesso pesantissimo declino elettorale dei partiti che tali politiche hanno promosso) e, contestualmente, l'avanzata delle sinistre (comuniste, antagoniste, radicali), ossia di quelle formazioni che si collocano alla sinistra dei partiti socialisti e che, in vario modo, articolano una critica di sistema. Questo avviene nel quadro di una preoccupante conferma delle forze politiche di centro-destra. Sta avvenendo cioè quello che molti di noi hanno paventato e che, a nostro parere, sta purtroppo nella logica delle cose: nell'afasia, nel vuoto di rappresentanza sociale creato dal centro-sinistra, si rafforza la svolta moderata e proliferano le pulsioni reazionarie. La crisi sociale, economica, ambientale va maturando dunque un suo esito di destra; ma, per altro verso, è importante che si faccia strada, estenda la propria influenza politica una proposta anticapitalista.

Si può arzigogolare in politichese quanto si vuole: a noi - come detto - tutto ciò appare di solare evidenza. E, per contrasto, balza in assoluto risalto la nostra insufficienza: la difficoltà di offrire una sponda politica consistente e credibile ai soggetti sociali aspramente colpiti dalla crisi ed esposti agli ulteriori sussulti delle politiche di classe che già si annunciano sotto il titolo di "exit strategy" (leggi: perdurante contenimento delle retribuzioni, reali e differite, e taglio ulteriore della spesa sociale). Di qui l'urgenza di riflettere in fretta, assumere responsabilità e produrre decisioni, capaci di dare il più ampio respiro possibile all'organizzazione di una necessaria, dura opposizione. Noi diciamo a noi stessi e vi diciamo: non è l'ora del risentimento, è l'ora della politica. E lanciamo a Sinistra e Libertà la proposta di un'alleanza, di un patto per far nascere anche nel nostro Paese le condizioni di una risposta efficace alla crisi capitalistica, per la ripresa del conflitto sociale, per una tutela delle classi popolari.

Non vogliamo "fingere ipotesi": siamo perfettamente consapevoli delle nostre diversità. E consideriamo questa una partita di fatto conclusa. Ma vediamo anche che lo scenario europeo offre tutta una gamma di possibili soluzioni di co-esistenza a sinistra. Non necessariamente un unico partito, ma la compresenza di formazioni distinte e, ciononostante, in parallela crescita di consensi. Occorre tuttavia esser chiari e netti rispetto alla cesura con la cultura e le politiche neoliberiste: è qui che non vediamo ravvedimenti sostanziali nel Partito democratico. Apprezziamo, nel suo dibattito interno, alcuni elementi della ritematizzazione politica di Bersani; ma, più in generale, non vediamo emergere in nessuno dei partecipanti a tale dibattito quella radicale discontinuità (di cultura e scelte politiche) che dovrebbe per l'immediato futuro garantire dai devastanti orientamenti assunti dal gruppo dirigente di questo partito nel recente passato. Oltre a ciò, anche dall'interno del Pd continuano a venire avanti proposte di modifica della legge elettorale che tendono a stringere ulteriormente la camicia di forza bipolare: non crediamo si possa dire che siamo paranoici se coltiviamo il sospetto che tali interventi a gamba tesa servano soprattutto a far fuori noi (noi della Federazione anticapitalista e della sinistra di alternativa, ma anche voi di Sinistra e Libertà: se non attraverso un colpo direttamente inferto, quanto meno per assorbimento coatto).

Un'alleanza, dunque; questa è l'esigenza che percepiamo distintamente. Certo, non è semplice: non vogliamo nascondere le difficoltà. Come convivere con chi ritiene (Nencini) che la sinistra abbia perso inutilmente vent'anni e che è ora di tornare a Craxi, è affar vostro. Così come riterremmo fuori tempo massimo polemizzare con chi (Mussi) pensa che la falce e martello debba essere derubricato dalla storia. Ovviamente, vediamo in tali giudizi un problema non lieve. Non per questo, consideriamo preclusa ogni interlocuzione. Riconosciamo il diritto all'esistenza della vostra opzione politica. Che non è la nostra. Crediamo giusto pretendere per noi - per i nostri simboli, il nostro nome, il progetto politico della Federazione che siamo impegnati a varare - altrettanto rispetto. Crediamo in una sinistra plurale, non ci siamo mai appassionati ad alcuna "reductio ad unum". Non poniamo veti; e non accettiamo di subirne.

Ma, al dunque, ci chiediamo: è possibile metterci attorno a un tavolo - noi della Federazione, voi di Sinistra e Libertà e quanti a sinistra (associazioni, comitati, sindacati, strutture di movimento) non rinunciano a contestare in radice un sistema sociale iniquo e inefficiente - e provare a discutere quattro/cinque punti programmatici discriminanti, così da contrastare l'offensiva di un establishment che ha fragorosamente fallito e che vorrebbe continuare a dettar legge?

In questa sede non sapremmo essere più precisi di così. Poniamo un'esigenza politica, nella convinzione che essa sia condivisa da una grande parte della nostra gente. Non possiamo continuare a delegare ad altri quell'opposizione incisiva, "senza se e senza ma" - ma anche efficace - che dovrebbe spettare a noi, alla sinistra (comunista, antagonista, radicale). Le centinaia di migliaia di bandiere rosse che solo due anni fa invasero le vie di Roma non sono distrutte; sono solo state ammainate a seguito di una cocente delusione. Proviamo a rialzarle.

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