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mercoledì 30 settembre 2009

ALESSIO LEGA - STRANIERO



Questa canzone non è soltanto la canzone dello straniamento, nel senso più vasto del termine. Non è soltanto la canzone di una dura guerra che mi ha fatto tante e tante volte pensare di inserirla a nome proprio di Alessio Lega, e non tra gli "Extra". Non è soltanto la canzone che riporta alla mente uno Straniero, uno che Alessio deve conoscere bene, che si augurava che, il giorno della sua esecuzione, tanta gente lo accogliesse con grida di odio. È anche la canzone di tutti gli stranieri che siamo, dovunque ci troviamo a vivere. È la canzone di chi, nell'essere straniero, forse individua anche un modo e un motivo di sopravvivenza; ché, se parlare la lingua della società è uniformarsi e omologarsi all'idiocrazia attuale, meglio è sentirsi stranieri. Ma non voglio andare oltre, perché questa canzone sa parlare da sola. È, a mio avviso, non soltanto il capolavoro assoluto di Alessio Lega, ma anche una delle dieci o quindici canzoni più importanti di tutti i tempi in lingua italiana. Probabilmente quella meno nota; ma il tempo saprà fare giustizia. [RV]

ALESSIO LEGA - STRANIERO

…E da una riva a un’altra riva percorsi questo mare
Quando arrivai all’attracco e scesi a questo nuovo porto
E trascinavo la mia vita, chissà per arrivare
Chissà per ritornare o non sentirmi ancora morto…

Sono venuto a sta città
Come straniero che non sa
Come un insulto al cielo nero
In questa pioggia ostile
Lo stile fosco dell’età
E la pietà per questa gente
In tutto questo niente, il vento
Che batte il mio pensiero
E me ne andrò, io mi dicevo
Di notte, come uno straniero
Andrò davvero io non devo
Niente a nessuno andrò leggero via.

Da marciapiede a marciapiede poi si disperde il sogno
Bisogna pur cedere al fondo un’ancora d’appiglio
Però io veglio inquieto ancora e traccio a questo stagno
Punto di fuga che non sia famiglia, moglie o figlio mio

E così vivo in sta città
Come straniero che non parla
La lingua della società
- Il tarlo nella perla –
Sono straniero alla mia via
Mi sento ignoto anche agli specchi
Ai vecchi amici, a casa mia
A ciò che guardi o tocchi
Ho fiori secchi sul balcone
E la pensione per traguardo
Alzo lo sguardo a ogni stazione
Già certo del ritardo mio

Da vita a morte è solo storia di grottesca assenza
Di sete d’aria fresca e nuova e fame di vacanza
Così ogni tanto cerco attorno chi dallo sguardo fa sfuggire
Sul piombo grigio d’ogni giorno la voglia di partire

Siamo stranieri a sta città
Siamo stranieri a questa terra
A quest’infame e dura guerra
Alla viltà e al letargo
Prendiamo il largo verso altrove
Dove non seppellisci i sogni
Dove non inghiottisci odio
E arrivi a odiare i tuoi bisogni…
O morte vecchio capitano
Salpiamo l’ancora, su andiamo
Inferno o cielo cosa importa
Da questa vita morta
Come straniero partirò
Senza più niente da sperare
Fra quattro assi e dieci chiodi
Vedi c’è odor di mare… e ciao

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