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venerdì 4 settembre 2009

Pinochet e l'Italia. Un'intervista esclusiva a Italo Moretti

Nel cimitero di Santiago del Cile si scopre che molte delle umili tombe contengono ognuna i resti di due, anche tre vittime della repressione. “Avete visto come si economizzava!” commentò Augusto Pinochet Ugarte nel 1991. Oggi, che il generale 91enne, nonchè senatore a vita, dopo esser stato colpito da un infarto al miocardio è morto, si discute se Pinochet abbia diritto o meno ai funerali di Stato in Cile. L’ex dittatore, accusato di gravi violazioni dei diritti umani nel suo paese (ma gli eran stati revocati gli arresti domiciliari dalla Corte d’Appello di Santiago), non essendo ancora stato processato, avrebbe perciò diritto ai funerali di Stato come ex presidente della Repubblica.

Michelle Bachelet, presidente del Cile, che fu arrestata e torturata sotto il regime Pinochet, ha finora evitato di esprimersi pubblicamente sulla questione. Comunque, un anno fa, in campagna elettorale, la Bachelet aveva dichiarato che un omaggio solenne all’ex dittatore avrebbe “violentato la coscienza dei cileni”. Ora la faccenda, come si dice, è una vera gatta da pelare, anche perchè in Cile Pinochet gode di larghe fasce di sostenitori, non solo negli ambienti militari, che chiedono a gran voce funerali in pompa magna, nonostante il giudizio che noi possiamo dare su di lui.

Abbiamo chiesto a Italo Moretti, inviato della Rai in Sudamerica e successivamente direttore del TgTre, di offrirci un ritratto dell’uomo che con il golpe dell’11 settembre 1973 diede il via, dopo il suicidio di Salvador Allende (la Moneda viene incendiata alle ore 13.30, un’ora dopo Allende, rifiutando la resa, era già morto), alla feroce repressione di chiunque fosse in odor di comunismo. Tra i più ricercati, gli esponenti del Mir, l’estrema sinistra rivoluzionaria che contestava il governo Allende.

I ricordi di Moretti, naturalmente, hanno il valore di una lunghissima pagina di storia contemporanea che, con la scomparsa del dittatore, può essere riletta.

“C’è un particolare antefatto da ricordare per tentare di ricostruire la personalità di Augusto Pinochet”, inizia a raccontare Italo Moretti. “Nel 1948 Pinochet era un capitano dell’esercito, mentre Allende era un senatore socialista. Il capitano Pinochet comandava il campo di Pisagua, una caletta sul Pacifico dove il deserto di Atacama si inoltra fino al confine col Perù. Una delegazione di parlamentari di sinistra, cui partecipava Salvador Allende, era venuta a visitare dei prigionieri politici quando fu fermata dai Carabineros a un posto di blocco. “Di qui non si passa – intimò Pinochet -. Se non ve ne andate, ordino di aprire il fuoco”. Venticinque anni dopo Allende affida proprio al generale Pinochet (non ricordando più di averlo già conosciuto nel lontano episodio di Pisagua) la guida dell’esercito”. Ma occorre aggiungere che anche la Dina, i servizi segreti cileni, dipendevano da lui.

La nomina di Pinochet a capo dell’esercito è suggerita ad Allende dal generale Carlos Prats, militare generoso e leale, che si è appena dimesso dalla carica di comandante in capo e ministro della Difesa. Non appena assunto il comando Pinochet scrive una lettera a Prats, suo ex superiore, “l’immutabile affetto e la stima profonda” che prova per lui. Il 15 settembre 1973, quattro giorni dopo il golpe ordito da Pinochet, Prats e la moglie si rifugiano a Buenos Aires, in Argentina, dove il 30 settembre vengono assassinati dai servizi segreti cileni della Dina, su ordine di Augusto Pinochet.

La Dina compie o coordina molte altre esecuzioni, anche fuori dal Cile.

Una di queste avviene a Roma dove si era rifugiato Bernardo Leighton, dirigente della Dc cilena. La sera del 6 ottobre del 1975, a Roma, in via Aurelia, Leighton viene colpito in fronte da un proiettile (sopravviverà semiparalizzato e disabile nel parlare). Viene ferita anche sua moglie (costretta sulla sedia a rotelle). L’attentato è predisposto dal capo della Dina, Contreras, che aveva contattato l’estremista di destra italiano Stefano Delle Chiaie (appartenente ad Avanguardia Nazionale), il quale risultò aver vissuto a Santiago coperto dal nome “Alfa”. La magistratura italiana apre un’indagine. Ne risulteranno coinvolti Delle Chiaie e Pier Luigi Concutelli (entrambi assolti per insufficienza di prove), Contreras (condannato a 22 anni), il sicario americano Michael Townley e Eduardo Iturriaga della Dina (condannati a 20 anni).

Ma perchè Italo Moretti, che pure ha potuto entrare e uscire dal Cile molte volte sotto la dittatura, a un certo punto venne messo alla porta?

La goccia che fa traboccare il vaso fu il servizio televisivo sui Carabineros del dicembre del 1984. S’intitolava “Le due facce delle Ande” ed era andato in onda per un’ora per TgDue Dossier. L’intervistato è un gesuita, Renato Hieva, che spiega quanto sia cambiato l’atteggiamento dei Carabineros, prima rispettati dal popolo quali difensori dei diritti umani, e poi divenuti violenti e assassini per conto di Pinochet.
Alla testimonianza del gesuita per il servizio Moretti fa seguire il suo personale commento: “I Carabineros scatenano la loro aggressività su inermi abitanti delle borgate, sui bambini, lanciano bombe lacrimogene, sparano, uccidono. Violentano ragazzine, com’è successo a Luisa Sara, nel I Commissariato di Santiago. Torturano, massacrano. Negli ultimi mesi, la Vicaria de la Solidaridad ha denunciato che trentadue persone sono state assassinate dai Carabineros”.
Ronald Geiger, incaricato d’affari dell’Ambasciata del Cile in Italia invia un telegramma al direttore del TgDue. Nel telegramma si deplora il servizio di Italo Moretti, ritenuto “disgustoso”, nonchè il linguaggio del giornalista, definito “procace”, e ci si rammarica di “aver concesso al giornalista facilitazioni perchè svolgesse il suo compito in Cile”. In seguito, anche il Ministero degli Esteri comunica alla Rai che Moretti non otterrà più il permesso di lavorare in Cile (dove si recò ancora, ma col solo visto turistico).

Ma torniamo al racconto di Moretti dall’inizio della storia del golpe militare di Pinochet.

L’aereo atterra la notte del 18 settembre 1973 a Los Cerrillos, l’aeroporto militare di Santiago del Cile. Italo Moretti, allora inviato del giornale radio Rai, raggiunge nella mattinata del 19 settembre il centro città mentre un altoparlante, a nome dei Carabineros, ammonisce di rispettare il codice della strada. “Il semaforo è rosso, nessuno può attraversare”, si ripete con enfasi dall’altoparlante.

Il coprifuoco è finito e a una settimana dal colpo di Stato si è ripreso a lavorare anche nelle fabbriche, dove le retate dell’esercito sono state le più violente. Nella zona industriale di Vicuna Mackenna i soldati svuotarono gli stabilimenti e riempirono il viale di uomini e donne stesi a terra con la faccia in giù e le mani sulla nuca. Dopo un turbinio di manganellate, tutti furono trasportati allo stadio Chile, già trasformato con lo stadio nazionale, a campo di concentramento, di tortura e di morte. La repressione militare è stata compiuta allo scoperto. Ostentata addirittura. Le acque del fiume Mapocho restituiscono i cadaveri sfigurati di decine e decine di vittime della violenza.

Per trasmettere i servizi radiofonici Moretti deve avvalersi della strumentazione di una radio cilena, sorvegliata 24 ore su 24 dai militari, ma aiutato dal tecnico del suono della Rai Francesco Durante, riesce a inviare le sue cronache a Roma mettendo il registratore vicino al ricevitore del telefono. I tribunali di guerra di Pinochet sentenziano pene capitali che vengono eseguite immediatamente. C’è perfino un elicottero della morte con a bordo un generale, Arellano Stark, che ha ricevuto direttamente da Pinochet l’ordine di sterminare contadini, operai, commercianti, giornalisti, studenti, impiegati, insegnanti e militanti socialisti o comunisti. Ogni visita di Stark, dove si posa l’elicottero, si conclude con una fucilazione di massa.

Le porte dello stadio nazionale vengono aperte alla stampa che ha raggiunto Santiago da tutto il mondo. Sebbene il tempo della visita sia limitato a trenta minuti, i reporter possono vedere e fotografare migliaia di prigionieri stipati negli spalti e tenuti dietro le reti metalliche. “Hay mas gente adentro” gridano in coro. Le foto di quella scena fanno il giro della Terra, mentre per dare un giudizio politico ci vorrà un po’ più di tempo: l’orrore e l’emozione prende il sopravvento sul ragionamento.

Anche a Italo Moretti sembra prioritario comunicare a Roma quel che ha visto, in più così tanto ostentato, ma poi si iniziano ad analizzare i tre anni precedenti al golpe, a cominciare dal risicato successo elettorale di Unità Popolare (coalizione catto-comunista che sosteneva Salvator Allende) nel 1970 (solo il 36,3 per cento delle preferenze), gli errori commessi dai partiti del governo di sinistra e l’irresponsabile comportamento del Partito dell’estrema sinistra (Mir) e anche di alcuni settori del Partito socialista.

Tuttavia, nonostante i tanti errori politici, esiste in Cile soprattutto il Plan Condor, attuato dalla Cia per conto del governo Nixon degli Stati Uniti (il segretario di Stato è Kissinger, il capo della Cia è Richard Helms).
La repressione e le fucilazioni di massa sono giustificate dalla Cia al Dipartimento di Stato quali “esecuzioni capitali secondo la legge marziale instaurata dalle autorità cilene” che devono “scoraggiare qualsiasi proposito di resistenza armata”.
Non ci sarebbe voluta molta immaginazione per collegare l’ascesa di Pinochet al sostegno di governi stranieri nemici dichiarati del comunismo, soprattutto se considerato pericoloso avercelo “nel cortile di casa”. Infatti, nel dicembre del 1973, lo stesso Pinochet dichiara alla Reuters che le prime riunioni segrete per preparare il golpe si erano svolte nel 1972.

Il 1° febbraio del 1999 l’amministrazione americana Clinton toglie il vincolo del segreto ai fascicoli del Rapporto Church e vengono diffusi dal National Security Archive i primi 5.800 documenti liberati dal veto. Peter Kornbluh, direttore del National Security Archive, dichiara: “Il materiale svincolato permetterà di porre in una luce più chiara i delitti ordinati da Pinochet e le implicazioni del governo nordamericano nell’appoggio dato alla dittatura”.

Passano gli anni e il regime di Pinochet - continua a narrare Italo Moretti – comincia a segnare una evidente flessione. Le proteste popolari si trasferiscono dalle baraccopoli al centro di Santiago. Sebbene limitatamente (fallisce il tentativo di organizzare uno sciopero generale) i sindacati hanno ripreso a lavorare, così come alcuni partiti democratici. Per fronteggiare il calo di terrore provocato dal suo regime, il 6 novembre del 1984 Pinochet proclama lo stato d’assedio. A quel punto, però, si apre un conflitto fra dittatura e Chiesa cattolica: il numero di sacerdoti imprigionati e uccisi è via via divenuto troppo elevato.

Il 1° aprile del 1987 Moretti viaggia a bordo dell’aereo decollato da Montevideo con Papa Giovanni Paolo II che si reca in visita a Santiago. La domanda del giornalista “in volo” è secca: “Santità, il Cile è dominato da un dittatore che si professa cattolico. Molti cattolici cileni temono che il regime possa trarre vantaggio da questo suo viaggio”. E Papa Wojtyla risponde: “La differenza fra regimi autoritari come quello del Cile e regimi totalitari, come quello polacco, è che i regimi autoritari sono reversibili, al contrario di quelli totalitari che sono irreversibili”. La dichiarazione del Papa viene riprese dalle agenzie di stampa mondiali, meno che da quelle cilene.

E’ nella notte del 5 ottobre 1988 che si consuma la sconfitta politica presidenziale di Pinochet che aveva chiesto con un referendum di restare in carica fino al 1997. Vince il NO con il 54,7 per cento (fronte capitanato dal centro-destra della Dc cilena, che candida Patricio Aylwin, e dal Partito socialista, che ha fra i suoi esponenti Ricardo Lagos), ma Pinochet potrà restare alla guida dell’esercito: glielo garantisce una norma costituzionale fatta apportare da lui stesso nel 1980. Il presidente è furibondo, disorientato, non si aspettava assolutamente di essere sconfitto.
Che cosa gli era sfuggito? Probabilmente non si era accorto che il Cile nei quindici anni della sua dittatura era cambiato, l’idea di vivere perennemente in un conflitto senza risoluzione aveva da un lato fatto risorgere alcune reazioni (Pinochet scampa all’attentato con i bazooka del 7 settembre 1986 del Fronte di estrema sinistra Manuel Rodriguez) e dall’altro lato aveva infiacchito i suoi uomini. Gli Stati Uniti, poi, non lo sostenevano più e avevano deciso d’isolarlo (era subentrata l’amministrazione Reagan). Pinochet, allora, dichiara ai media: “Sono l’ultimo anticomunista del mondo perchè il marxismo si è infiltrato anche nella Casa Bianca”.

Il 10 marzo del1990 Pinochet fa il suo ultimo pranzo da presidente alla Moneda. Al commiato sa solo dire: “Provo una gran pena”. In tv si vede il passaggio dei poteri con l’ex dittatore che se ne va scortato da un plotone a cavallo. Pinochet procede lentamente, benchè si odano levarsi grida come “assassino” e si lancino monetine. Tutto il Cile è incollato al televisore per piangere di gioia o di dolore. Dal giorno dopo, l’11 marzo 1990, alla tv nazionale cilena Canal 7 tornano a lavorare registi e giornalisti che per 16 anni e sei mesi erano stati pesantemente discriminati o allontanati.

Il 5 dicembre 1991 l’ambasciatore americano in Cile rivela al presidente Aylwin che i militari cileni han venduto armi alla Croazia, rompendo l’embargo fissato dall’Onu. Il mediatore dell’affare, per 3 milioni di dollari, è Augusto Pinochet Iriart, il figlio primogenito dell’ex dittatore. “Dicono che abbiamo violato la Costituzione?”, risponde alle domande della stampa Pinochet. “E va bene, l’abbiamo violata. E adesso basta”.

Il 16 ottobre del 1998, a Londra, gli agenti di Scotland Yard consegnano al generale Augusto Pinochet, ricoverato in una clinica, il mandato di arresto emesso su richiesta del giudice spagnolo Baltazar Garzón per i crimini commessi in Cile e anche fuori dal Cile.
Santiago, però – come sempre - si spacca in due. C’è chi si sdegna e protesta pubblicamente, c’è chi invece esulta e invoca giustizia. I servizi televisivi suscitano sorpresa e interrogativi, soprattutto in Europa, anche perchè da anni del Cile non si parlava quasi più.

Pinochet rimane agli arresti domiciliari a Londra per 503 giorni (il governo Blair nega a Garzón l’estradizione in Spagna; sulla stessa posizione, cioè dalla parte del Cile, si schiera anche l’Italia). Il 3 marzo del 2000 l’ex tiranno atterra a Santiago in carrozzella, con uno stuolo di medici al seguito. Si diceva che non riconoscesse i familiari e che muovesse a stento le gambe. Quando vede ad attenderlo all’aeroporto il comandante dell’esercito Ricardo Izurieta abbandona la carrozzella e gli va incontro in modo impeccabile, senza nemmeno il sostegno di un bastone. Si abbracciano. Pinochet ha 85 anni e, come si vede in televisione, non è nè demente, nè sordo, nè afono, nè semiparalizzato.

“In quel periodo venivo invitato a dibattiti pubblici e televisivi – ricorda Italo Moretti – e notavo che le mie parole suscitavano autentico stupore. Per esempio quando dicevo che per il governo cileno di centro-sinistra la richiesta d’arresto e d’estradizione di Pinochet aveva causato un gran allarmismo. Il centro-sinistra cileno avrebbe piuttosto voluto un rientro in patria del vecchio tiranno”.

Con un elicottero militare SuperPuma SA 300 l’ex dittatore viene trasportato dall’aeroporto di Santiago all’Ospedale Militare di Providencia, in uno dei quartieri più chic della capitale. Alle 7 di sera la degenza è già finita e Pinochet raggiunge casa sua, a La Dehesa.

Su La Tercera del 3 marzo del 2000, in un articolo di Ascanio Cavallo, si legge: “Pinochet torna sconfitto, sapendo che non potrà più uscire dal Cile. Il suo potere si era estinto quando lasciò il comando dell’esercito. L’hanno arrestato solo perchè non vestiva più l’uniforme”.

Un caso, quello di Pinochet, che non si può certo chiudere con la sua morte, sebbene le conseguenze della verità, quando venisse tutta a galla, sono pur sempre spaventose.

da Indymedia

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