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domenica 2 agosto 2009

La pillola non va giù

«Ora che l’Aifa ha deciso, in scienza e coscienza, di consentire anche in Italia
l’utilizzo della pillola Ru486, nessuno, tanto meno il governo, cerchi rivincite». L’auspicio di Benedetto Della Vedova, uno dei pochissimi esponenti del Pdl che giudica normale e corretto il sì dell’Agenzia del farmaco, fa capire che il fronte del no - Chiesa, destra, vetero e neo fondamentalisti - la rivincita la cercherà eccome. Il rampino a cui si attaccherà sarà l’articolo 8 della legge 194 che prescrive che l’intervento abortivo debba svolgersi in ospedale. Interpretato con razionalità e buon senso, l’articolo implica che debba avvenire in ospedale l’intervento chirurgico o la somministrazione della coppia di farmaci (Ru486 e, successivamente, le prostaglandine) che inducono il distacco e l’espulsione dell’embrione. Nella maggior parte dei casi l’espulsione si verifica due-tre giorni
dopo l’assunzione, in day hospital, delle prostaglandine. Avviene a casa (non
per obbligo, ma per scelta delle donne). Tanto basta alla sottosegretaria al
welfare Eugenia Roccella per sostenere che l’aborto farmacologico è «intrinsecamente domiciliare», quindi «clandestino», quindi contro la 194. Mai legge fu tanto apprezzata dagli stessi che, fino all’altro ieri, l’avevano condannata. La guerra al day hospital, la pretesa che le donne restino ricoverate a lungo sarà lo stratagemma per «disincentivare» la Ru486.
Lo si capisce dalla lettera indirizzata ieri ai vertici dell’Aifa dal ministro del welfare Sacconi. In essa si ricorda il parere del Consiglio superiore della
sanità secondo il quale la sicurezza dell’aborto farmacologico è pari a
quella del metodo chirurgico «solo se l’intera procedura si svolge all’interno
della struttura sanitaria». A quel parere, aggiunge Sacconi, dovranno conformarsi le linee guida per l’uso della Ru486.
In qualunque modo abortiscano, le donne e i medici che collaborano meritano
per la chiesa cattolica l’automatica scomunica. Non è una novità e giovedì sera, subito dopo il sì dell’Aifa, monsignor Sgreccia si era incaricato di ricordarlo. Ieri sulla prima pagina dell’Osservatore romano è tornato sull’argomento
monsignor Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia della Vita: «La Chiesa non può assistere in maniera passiva a quanto avviene nella società». E’ chiamata a reagire alla «triste tendenza» che si sta imponendo poco alla volta «in alcuni frammenti» della cultura contemporanea: la tendenza alla «banalizzazione». Restando agli uomini di chiesa, merita una citazione il vescovo di San Marino-Montefeltro Luigi Negri che bolla la Ru486 come «un pesticida umano». Il vescovo deve essere un assiduo lettore del Foglio che di quella definizione, coniata da «un grande genetista», ha fatto una sua insegna. Il commento più politicamente impegnato, che divide il governo tra buoni
e cattivi, l’ha pubblicato l’Avvenire sul suo sito on line: «Un nuovo scempio
contro la vita umana», che l’Italia «non meritava» e di cui portano la responsabilità alcune componenti politiche che «non hanno fatto quello che
potevano e dovevano». Il quotidiano della Cei non fa l’elenco dei cattivi. Il
pensiero corre al silenzio totale di Berlusconi e della Lega sull’argomento.
Se il primo era obbligato per le note ragioni «private», quello della Lega è improntato al solito agnosticismo.
Gli ex di An, salvo alcune eccezioni (il sottosegretario agli interni Alfredo
Mantovano), non si sono iscritti in massa al fronte del no. Si è notata, però,
una mezza marcia indietro della ministra della gioventù Giorgia Meloni.
L’altro ieri aveva detto che la Ru486 è da accettare perché rende l’aborto «meno invasivo, meno doloroso, meno lacerante». Ieri la ragazza si è autocorretta: «Che brutta Italia, quella in cui si festeggia un nuovo rivoluzionario metodo per sopprimere la vita». Feste, in giro, non se ne vedono.
Si vede, piuttosto, una caterva di dichiarazioni contro la Ru486 rilasciate
soprattutto da esponenti donne, in genere di seconda fila, del Pdl. Per Gabriella
Carlucci l’Aifa avrebbe ceduto alla «campagna ideologica e relativista della sinistra italiana». Per Elisabetta Casellati, l’Agenzia del farmaco con il suo sì «strizza l’occhio alla cultura della morte». Secondo la senatrice Laura Bianconi, la pillola abortiva oltre a «uccidere una vita umana», mette in serio pericolo «la salute psico-fisica della donna». Tornano un po’ ovunque i famosi «29 decessi» che sarebbero stati provocati dalla Ru486. Ma non si dice dove, quando e, soprattutto, non si precisa a quale platea di utenti vada rapportato il numero delle morti presunte. Si compiangono le donne che abortiranno «in solitudine» a casa loro. Oppure le si randella, dando per scontato che «con leggerezza» abortiranno di più, «con la pillola sarà come bere un bicchier d’acqua», dice il
vecchio Cossiga, che notoriamente se ne intende.
Tutti tralasciano il fatto che la Ru486, nei paesi europei dove si usa da anni, non ha fatto aumentare il numero delle interruzioni di gravidanza volontarie. Ha spostato una quota di aborti da un metodo all’altro. In Francia, paese d’origine della Ru586, le ivg chimiche costituiscono il 56% del totale. In Gran Bretagna si fermano al 15%. In Italia, dove la pillola potrà essere somministrata solo entro
la settima settimana di gravidanza (due in meno rispetto alle direttive europee), non si dovrebbe andare oltre il 15-20%. Molto meno, se passerà la linea di tenere prigioniere in ospedale le donne in attesa che l’embrione venga
espulso.
Tra i commenti dell’opposizione segnaliamo quello, banalmente giusto,
del segretario del Pd Franceschini: «Siccome siamo in un paese che consente
l’aborto per legge, se c’è la possibilità di avere un un sistema meno invasivo
per le donne non vedo un motivo per dire di no».

di Manuela Cartosio da Il Manifesto

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