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venerdì 14 agosto 2009

Davide "Dax" Cesare


Nella notte fra il 16 e il 17 marzo 2003 moriva Davide “Dax” Cesare, militante del Centro Sociale O.R.So (“Officina di Resistenza Sociale”) di Milano. Era da poco uscito, assieme ad alcuni compagni, da un bar del quartiere ticinese. Fuori, ad aspettare i ragazzi, un paio di neofascisti armati di coltelli, spalleggiati da un terzo elemento più anziano. Si scoprirà solo in seguito che i due giovani sono fratelli e che l’uomo è il loro padre; si tratta rispettivamente di Federico, Mattia e Giorgio Morbi (28,17 e 54 anni all’epoca del fatto). L’aggressione dei neofascisti è rapida e particolarmente violenta. Numerose coltellate vengono inferte in punti vitali: Davide non giungerà vivo all’ospedale; altri due ragazzi sono feriti (uno in modo grave, ma si salverà).

Alla tragedia di Dax seguono altri fatti a dir poco inquietanti. Prima il ritardo nei soccorsi; sul luogo del delitto arrivano per prime numerose pattuglie di polizia e carabinieri, che rendono ancora più difficoltoso l’arrivo del personale medico. Poi al pronto soccorso dell’ospedale San Paolo, gli amici dei feriti (sconvolti dalla notizia che per Davide non c’è più nulla da fare) vengono brutalmente picchiati dalle forze dell’ordine. Uno scenario che ricorda tristemente le cronache di Genova e Napoli 2001; con la differenza che, stavolta, la brutalità della polizia non ha neppure la debole scusa delle tensioni di piazza. Una brutalità che finirà col coinvolgere anche personale di assistenza medica e pazienti dell’ospedale: in seguito alle cariche il pronto soccorso dovrà cessare il servizio fino alle sette del mattino seguente, e numerosi pazienti finiranno con l’essere trasferiti in altre strutture.
Infine giunge l’ultima vergogna, quasi un marchio di fabbrica delle vicende di cui abbiamo parlato finora: le menzogne degli apparati dello Stato, assecondati da organi di stampa sempre compiacenti e aiutati a posteriori dalla copertura morale prontamente offerta da certi politici. L’omicidio viene spiegato con il degenerare di una “rissa tra balordi”. Il pestaggio dei giovani al San Paolo viene giustificato con la reazione delle forze dell’ordine alle intemperanze dei compagni di Dax, ed in special modo alla loro richiesta di “trafugare” dall’ospedale la salma. Per fortuna le testimonianze dei giovani presenti all’ospedale, assieme alle dichiarazioni coraggiose di elementi del personale medico del San Paolo, hanno in seguito smentito quelle prime ricostruzioni (senza che, purtroppo, la stampa nazionale si sia affannata troppo nel concedere a tali smentite uno spazio uguale a quello che ebbero le prime, false versioni).
Dal punto di vista processuale la vicenda è tuttora aperta su più fronti: per la morte di Davide, Giorgio Morbi è stato già prosciolto (non ci sarebbero prove della sua partecipazione diretta all’agguato mortale); al giovane Mattia è stata riconosciuta quella che giuridicamente si chiama “messa in prova” (tre anni sotto il controllo di una comunità, al termine dei quali sarà valutato il suo “percorso di recupero”); a rispondere dell’omicidio resta dunque il solo Federico Morbi. Per quanto concerne i fatti del San Paolo, sono ancora aperte le indagini; presto si dovrebbe arrivare ai processi, sia a carico di alcuni giovani, sia a carico di alcuni fra gli agenti colpevoli dei pestaggi.

DAX
Tra i graffiti che colorano i muri cittadini il suo nome appare spesso, impresso a lettere grandi e chiare, «Dax vive». Nel ricordo degli amici, nell’immaginario dei giovani, triste simbolo di una violenza a sfondo politico che si pensava archiviata negli anni Settanta e che invece è tornata ad uccidere.

Venerdì le condanne in primo grado per l’omicidio di Davide Cesare, il ragazzo di 26 anni meglio noto come Dax fra i frequentatori del centro sociale Orso, avvenuto a Milano nella notte tra il 16 e il 17 marzo dell’anno scorso: 16 anni e 8 mesi di reclusione per il trentenne Federico Morbi, 3 anni e 4 mesi per il padre Giorgio Morbi. Condanne dure quelle disposte dal giudice per l’udienza preliminare Cesare Tacconi, di poco inferiori alle richieste avanzate dal pubblico ministero Nicola Di Plotti di 18 anni per il primo e 5 anni per il secondo, alle quali si accompagnano i risarcimenti per i familiari della vittima: 150mila euro alla madre e 200 mila euro alla compagna e alla figlia.

«È stato respinto il tentativo della difesa di trasformare gli aggrediti in aggressori e gli aggressori in aggrediti - ha commentato l’avvocato Mirko Mazzali, legale di parte civile - è una sentenza giusta, soddisfacente. A noi non interessava la pena, a noi interessava che le attenuanti chieste dai difensori, cioè quella della provocazione e della legittima difesa, non venissero accolte. E così è stato. Hanno tentato di gettare fango sulla vittima e non ci sono riusciti».

Resta, però, una nota d’amarezza: «Ora aspettiamo le scuse della famiglia Morbi, che non sono mai arrivate. Speravamo che in ambito processuale fosse fatta chiarezza sugli antefatti che hanno portato all’aggressione di Davide Cesare, invece gli imputati non hanno spiegato in modo chiaro e univoco quanto avvenne. È uno dei più grossi rammarichi della famiglia». Sono infatti molte le zone d’ombra che ancora avvolgono gli accadimenti di quella notte.

Forse tutto iniziò con una banale rissa verbale davanti a un bar di via Brioschi: lì in tarda serata si sono ritrovati Davide ed alcuni amici dell’Orso, lì sono passati Federico Morbi, il fratello M. di 17 anni e il padre Giorgio con il cane. Un rottweiler di nome Rommel, occasione per uno scambio di insulti sulle rispettive simpatie politiche poi degenerato in tragedia.

Restano incerti i dettagli della dinamica, non l’esito che ebbe: dai primi spintoni si è facilmente passati alla rissa, finchè uno dei Morbi ha estratto un coltello. L’arma con cui è stato colpito a morte Davide Cesare, 13 coltellate di cui 6 alla schiena, e con cui sono stati feriti gravemente altri tre ragazzi.

Questa la certezza processuale raggiunta: per omicidio volontario sono stati condannati i due fratelli, il più giovane dei quali sta scontando in una comunità i tre anni di messa alla prova già disposti dal tribunale dei minori. Il padre è invece stato condannato, insieme al figlio M., per il tentato omicidio di Antonino Alesi, uno degli amici di Dax presenti: lo teneva fermo per le spalle mentre il piccolo di famiglia lo feriva.

Tuttora in corso, invece, la vicenda processuale legata ai tumulti che scoppiarono all’ospedale San Paolo in seguito all’omicidio. Molti ragazzi dei centri sociali, infatti, si radunarono nella notte davanti al pronto soccorso in cui l’ambulanza aveva trasportato il corpo di Davide Cesare per chiedere informazioni sulla salute dell’amico. Ad accoglierli molte forze dell’ordine: «Hanno messo in atto una vera e propria caccia all’uomo sullo stile di Genova - dichiararono il giorno successivo i giovani autonomi - picchiando selvaggiamente e senza motivo».

Forse sorpresi dalla rabbia e dal dolore generati dalla notizia della morte di Dax, polizia e carabinieri si sono scontrati con ragazzi lì radunati: colpi di manganelli su persone a terra, calci violenti al basso ventre e ai testicoli, ginocchia contro il petto. Qualcuno ha cerca di scappare fuori dalla sala d’aspetto, qualcun altro ha provato a rifugiarsi sotto le panche, e solo quando tutti si erano ormai allontanati anche gli agenti se ne sono andati dal San Paolo.

È quanto risulta dalle testimonianze: lo hanno raccontato i ragazzi, ma anche i medici e i pazienti che si trovavano allora al pronto soccorso. È quanto documenta un filmato, girato da un videoamatore che si trovava in zona e che, al richiamo delle urla e del rumore di vetri rotti, ha deciso di registrare gli avvenimenti. Per le inchieste aperte, a carico di alcuni agenti delle forze dell’ordine e di quattro persone dei centri sociali, sono state da poco terminate le indagini preliminari.

di Luigina Venturelli Unita.it

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