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lunedì 6 luglio 2009

MASSACRO IN CINA

Cina, "officina del mondo" colma di contraddizioni e conflitti diffusi. Sono sfociate nel sangue le proteste dei musulmani uighuri nello Xinjiang. Secondo l'agenzia ufficiale cinese Xinhua, negli scontri sono morte 129 persone e 816 sono rimaste ferite. Ma il bilancio potrebbe anche essere piu' pesante: l'agenzia France Presse, parla di 140 vittime. Centinaia gli arresti ammessi dal governo. Le proteste, alle quali - secondo diverse fonti - hanno partecipato tra le 1.000 e le 3.000 persone, sono avvenute nel pomeriggio di ieri, domenica a Urumqi, capitale della regione autonoma dello Xinjiang. Lo Xinjiang è una porzione dell'esteso territorio cinese abitato in prevalenza dalla minoranza etnica uighura di religione musulmana. Lo Xinjiang e' una spina nel fianco del gigante asiatico. Il governo cinese da decenni governa con il pugno di ferro la minoranza uighura (circa 10 milioni di persone delle 20 che abitano nello Xinjiang) e accusa i gruppi indipendentisti di terrorismo. Alcune immagini delle sanguinose proteste che erano circolate nelle ultime ore su Internet sono immediatamente state censurate.


La rivolta era iniziata in maniera pacifica, con una marcia di circa 300 giovani uighuri, che manifestavano per la morte di due membri dell'etnia in una fabbrica di giocattoli a Canton, nel sud della Cina, e che erano stati accusati di aver violentato una giovane. Ma sono intervenute le forze di sicurezza e a quel punto sono iniziate i violenti scontri.
Gli scontri tra uighuri e polizia sono avvenuti nel capoluogo Urumqim dove assembramenti non autorizzati sono sfociati in blocchi del traffico, incendi di auto e attacchi contro le forze dell'ordine, che sono intervenute in assetto anti-sommossa per disperdere la folla (la Reuters riporta di migliaia di persone in strada), sparando lacrimogeni e eseguendo molti arresti.

La scintilla delle proteste, come spesso avviene in un contesto di repressione discriminazione e sfruttamento, è stata l'uccisione di 2 operai uighuri. Secondo una ricostruzione gruppi di operai cinesi armati di sbarre di ferro e altre armi rudimentali hanno attaccato notti fa il dormitorio degli operai uighuri di una fabbrica di giocattoli, accusandoli di una serie di piccoli furti; gli uighuri si son difesi usando coltelli; decine i feriti ricoverati in ospedale, 2 i morti. Circostanza questa che corrisponde al livello di razzismo e discriminazione presente anche negli strati più bassi della società cinese, in una guerra tra poveri scatenata per mano delle autorità governative, in una realtà complessa e contraddittoria come quella, più in generale, cinese.

Scontri nello Xinjiang che accadono in un momento di forte tensione per la regione a causa della distruzione della città vecchia di Kashgar, una delle principali città dell'area e centro culturale dell'etnia uighura, all'interno di processi di trasformazione del volto dei territori sussunti agli interessi di produzione, mettendo a valore intere aree dove convoglieranno una nutrita quantità di forza-lavoro.

Gli uighuri, un etnia turcofona di religione musulmana, sono gli abitanti originari dello Xinjiang, che i cinesi chiamano Turkestan orientale, e oggi sono circa la metà dei 20 milioni di abitanti della regione in seguito a una politica governativa favorente gli immigrati cinesi. La Cina infatti è attraversata da un'inarrestabile migrazione interna, che vede milioni di persone spostarsi soprattutto dalle campagne verso i centri industrializzati. Il governo cinese considera lo Xinjiang come uno dei suoi principali problemi aperti all'interno dei suoi confini, e lo fa all'insegna di una criminalizzazione contro la popolazione uighura, implementando una politica discriminatoria e razzista contro di essa, origine principale della diffusione e dell'esplosione di tensioni e conflitti nella regione.

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