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venerdì 3 luglio 2009

COME GLI STATI UNITI HANNO CAMBIATO IN TRE GIORNI LA LORO STRATEGIA MILITARE

Le decisioni di Barack Obama delle ultime settimane danno un nuovo impulso alla strategia militare degli Stati Uniti in Iraq e Afghanistan, ricalibrando sforzi e risorse sulla base dei principi annunciati dal presidente stanutitense già durante la campagna elettorale.

Martedì scorso i soldati americani hanno lasciato le città irachene in vista del ritiro dall’Iraq, previsto per l’agosto del 2010, e del ritorno completo delle truppe negli Stati Uniti, previsto per la fine del 2011. Per avere un’idea di come sono cambiati negli anni i numeri e la dislocazione delle forze statunitensi in Iraq, è preziosa la mappa interattiva del New York Times.

Sempre il New York Times, con un lungo editoriale, mette in guardia sui rischi a cui vanno incontro l’Iraq e, di riflesso, anche gli Stati Uniti. “C’è un enorme quantità di cose ancora da fare – e non molto tempo – per aiutare gli iracheni e ridurre le possibilità che il ritiro degli Usa possa generare il caos. Obama ha ragione quando dice che gli Stati Uniti non possono risolvere tutti i problemi dell’Iraq prima di andare via. Presto l’esercito iracheno dovrà cavarsela da solo. Gli Stati Uniti dovranno aiutare l’Iraq a costruirsi una flotta aerea e una navale, uno sforzo che probabilmente andrà oltre la scadenza del 2011. Washington dovrà valutare la pericolosità degli stati vicini ma anche quella dell’Iraq stesso, che ha una lunga storia di minacce nei confronti dei paesi suoi confinanti, e decidere quanta potenza di fuoco vendere a Baghdad”.

“La disputa più pericolosa è sulla regione di Kirkuk, ricca di petrolio e gruppi etnici. Ad aprile, l’Onu ha diffuso un rapporto che propone diverse opzioni per Kirkuk, tra cui la sua trasformazione in regione autonoma, governata congiuntamente da curdi, arabi e turkmeni. C’è poi la questione dei profughi: quattro milioni di iracheni hanno perso la loro casa e vivono in condizioni difficili. Molti sono sunniti, una volta parte dell’élite privilegiata. Più di ogni altra cosa, però, l’Iraq ha bisogno di un governo competente”.

“Se vuole guadagnarsi la lealtà e la fiducia delle persone, dovrà fare un lavoro molto migliore di quello fatto finora per fornire i servizi di base a tutti gli iracheni. Cresce invece la preoccupazione che il primo ministro Maliki stia accumulando troppo potere, estromettendo i suoi rivali e costruendo una casta di militari leali solo a lui. Washington dovrà chiarire che non appoggerà nessuno strappo e che, anzi, troverà il modo per incoraggiare la comparsa di altri leader politici. Insomma”, conclude il New York Times, “gli Stati Uniti non possono sistemare tutto, ma tempo che rimanehanno la responsabilità e l’interesse strategico di fare del proprio meglio per aiutare l’Iraq a venire fuori da questo disastro come uno stato funzionante, sovrano e ragionevolmente democratico”.

Gli Usa fanno un passo indietro in Iraq ma si preparano all’offensiva finale in Afghanistan: Obama è deciso a voltare pagina, dopo il pantano degli ultimi mesi. In queste ore una grande operazione militare - la più imponente dai tempi del Vietnam, secondo il Daily Telegraph - sta cercando di togliere ai taliban il controllo della provincia di Helmand, territorio fondamentale nella produzione dell’oppio e cruciale per la loro organizzazione strategica. “La spedizione che guida le operazioni in Afghanistan”, riferisce il New York Times, “coinvolge buona parte degli oltre 21mila soldati che Obama ha deciso di inviare in Afghanistan all’inizio dell’anno, per mettere fine alle violenze e al dominio dei talebani nel sud del paese”.

da Internazionale

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