Le previsioni più pessimistiche sul Mezzogiorno risultano confermate. Questa amara conclusione si ricava dalla lettura del Rapporto Svimez 2009 il quale mostra inequivocabilmente che il reddito di un cittadino del sud rappresenta una parte sempre più risicata del reddito di un italiano del nord. Si tratta, quel che è peggio, di un dato non strettamente congiunturale, dal momento che negli ultimi dieci anni il sud è cresciuto la metà rispetto al resto dell'Italia. Ma il grado di sviluppo e di benessere non si misura certo solo in base al reddito. Se guardiamo alla qualità dei servizi pubblici o dell'ambiente, il Mezzogiorno perde ancora più terreno rispetto al resto del Paese.
Con il risultato che, in Italia, la povertà, la disoccupazione, il lavoro precario e quello nero si concentrano quasi esclusivamente nel Sud. Queste considerazioni impietose sullo stato dell'economia meridionale ci spingono a interrogarci sull'efficacia delle politiche per il Mezzogiorno di questi anni. Il riferimento purtroppo non è solo alle scellerate politiche leghiste del Governo in carica (per inciso lo Svimez stima in 18 miliardi la quota di risorse sottratta negli ultimi due anni al Mezzogiorno) ma anche agli interventi sostenuti dalle stesse coalizioni progressiste al livello nazionale e locale.
Assolutamente vane si sono infatti dimostrate le speranze di quanti, tra le fila progressiste, credevano nei virtuosi meccanismi spontanei del mercato che avrebbero dovuto attivarsi con la moneta unica, con l'apertura dei mercati, con la precarizzazione del lavoro. Così come del tutto illusori si sono mostrati gli effetti delle privatizzazioni. Bisognerebbe interrogarsi sugli esiti delle politiche che hanno sostituito l'intervento straordinario, teorizzate da economisti di moda anche nel centrosinistra benché irretiti dal fascino della concorrenza e dalle teorie neoliberiste. Politiche che hanno visto la sterile stagione degli incentivi automatici e l'erogazione a pioggia dei fondi Ue, degenerando troppo spesso in mere strategie del consenso.
Ed ora la gravissima crisi che stiamo attraversando assume nel Mezzogiorno i caratteri cupi dell'emergenza sociale e si abbatte sull'economia come una sorta di gigantesco moltiplicatore dei divari regionali. Come viene sottolineato dalla Svimez: «la diffusa percezione di una crisi che avrebbe riguardato soprattutto le aree più industrializzaste del Paese è purtroppo smentita dai fatti».
Per tutte queste ragioni, occorrerebbe una svolta nel quadro delle proposte progressiste capace di mettere a valore gli sviluppi recenti del meridionalismo e di recuperare la migliore cultura della programmazione economica e della pianificazione territoriale. Al centro di questa azione - come lo stesso Rapporto Svimez suggerisce - non possono che essere poste le politiche industriali specificamente indirizzate a spingere il tessuto produttivo meridionale verso un «salto» tecnologico e dimensionale. Forse è troppo sperarlo, ma sarebbe davvero il caso che il congresso del Partito Democratico si scuotesse dal torpore, stigmatizzasse qualsiasi ipotesi di aggregazione politica meridionale sul modello leghista, e riprendesse le fila di un dibattito vero intorno alle condizioni per un riscatto del Sud.
da Il Manifesto di Riccardo Realfonzo
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