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mercoledì 29 luglio 2009

Dalla Sicilia in pezzi si può ripartire

L'ordine del giorno proposto del deputato Granata, ex assessore regionale siciliano vicino a Fini e da Tonino Russo del Pd, respinto dal governo perché contenente un'aperta critica a Berlusconi che aveva proposto Milano come sede di un futuro «Forum Permanente per l'area del Mediterraneo», è stato approvato da una maggioranza composta da deputati dell'opposizione Pd, Idv, Udc più quattro deputati del Mpa, due del Gruppo Misto e sette del Pdl.Questi ultimi sono tutti della corrente del sottosegretario Miccichè, ex presidente dell'Ars (Assemblea regionale siciliana) e fondatore di Forza Italia assieme a Dell'Utri, sulla base della rete di rappresentanze Mediaset ed anche degli amici di Vittorio Mangano, mammasantissima della mafia siciliana, inviato ad Arcore a proteggere non solo la vita di Veronica e dei suoi figli da oscure minacce quanto forse a controllare l'adempimento di accordi con ambienti isolani, che hanno portato immediatamente FI in Sicilia in una posizione di preminenza elettorale.
Effettivamente la scelta di Milano - protesa storicamente verso l'Austria, la Svizzera, la Baviera e la Francia - come centro della politica mediterranea, è fuori tono. Ma Berlusconi al sud si trova in difficoltà. A Napoli, la Regione è in mano a Bassolino, in Puglia c'è una coalizione guidata da Vendola e in Sicilia governa, con uno statuto riveduto e corretto ad usum delfini, Raffaele Lombardo promotore del Movimento per le autonomie e della campagna anti Lega ed antiNord.
Le vicende dell'autonomia siciliana in passato hanno annunciato svolte della politica nazionale. A partire, alla sua origine e dopo Portella della Ginestra, dall'estromissione di comunisti e socialisti dal governo, che anticipò l'operazione portata a compimento alcuni mesi dopo da De Gasperi, alla crisi di Milazzo verso la fine degli anni '50, che aprì la strada a Moro per fare digerire alla destra della Dc l'accordo con Nenni, fino all'ultima vicenda, grottesca e suicida, del governo dell'ex comunista Capodicasa, di due legislature fa, espressione di uno schieramento che andava dai pluri inquisiti Cuffaro e Pellegrino, esponenti di una maggioranza di destra in crisi che restarono a governare, secondo il loro costume, assessorati chiave come l'Agricoltura e il Territorio e Ambiente, fino ai sei deputati comunisti che si accodarono a questo «pateracchio», mentre su scala nazionale il Prc rompeva con il governo Prodi sulla questione delle 35 ore, ricavandone prestigio e consenso elettorale.
Da questo governo fu approvata la riforma dello Statuto che modificava radicalmente il sistema che dal '46 era basato sull'Assemblea (eletta con la proporzionale) e che eleggeva a sua volta Presidente ed assessori e quindi poteva anche votare la sfiducia. Si introdusse un sistema di ispirazione Usa, ma con grottesche amplificazioni e commistioni, che prevedeva non solo l'elezione diretta del Presidente con ampi poteri di nomina del suo governo (che Lombardo sta esercitando in modo radicale azzerando e nominando assessori a suo piacimento), ma anche l'aggancio del Presidente ad una maggioranza a cui veniva attribuito un ulteriore premio nell'assegnazione dei seggi. Questo aggancio stabiliva anche il principio che l'indisponibilità del Presidente, da qualunque causa determinata (dimissioni, condanna penale, morte, voto di sfiducia dell'Assemblea) avrebbe portato alla dissoluzione dell'Ars ed a nuove elezioni. Naturalmente l'astuto Cuffaro, appena questo progetto fu approvato in sede costituzionale (lo Statuto siciliano è inserito nella Costituzione ) con un accordo necessariamente bipartisan anche a livello nazionale, ritirò il suo appoggio a Capodicasa dopo avere ottenuto la promessa della candidatura, di esito sicuro, a Presidente della Regione.
Iniziò così, due anni e mezzo fa, l'epoca Cuffaro che ebbe vita breve, ma non per questo meno dannosa per la Sicilia, perché la condanna penale per rapporti con la mafia lo costrinse alle dimissioni e portò quindi allo scioglimento dell'Ars. La scelta della destra cadde su Lombardo, che naturalmente rivinse a mani basse le elezioni anche perché, contrariamente a quanto avveniva su scala nazionale, l'Udc restò nella maggioranza di centro-destra. Il Pds e la Margherita furono sconfitti due volte ma la sinistra alternativa passò dai sei deputati, che avevano dato la fiducia a Capodicasa, a tre nella legislatura Cuffaro, per scomparire nelle ultime elezioni, malgrado l'ottima performance dell'Arcobaleno di Rita Borsellino, che arrivò a poche centinaia di voti dal quorum del 5% stabilito, con accordo bipartisan, da centro-destra e Pd. Questa maggioranza però non è riuscita a mantenere una sua coesione e sono cominciate le grandi manovre e contrasti. Non c'è dubbio che il governo Berlusconi-Bossi-Tremonti ha svolto una politica antimeridionale dirottando (e non solo) i finanziamenti per le aree depresse verso altre iniziative.
Comunque vadano le cose però, la Sicilia e il Mezzogiorno non possono sperare in nessuna modifica a loro favore se non si sviluppa un'opposizione che abbia, come nel lontano 1947, un suo programma che oggi, nelle mutate situazioni, può avere dei punti di riferimento precisi che sorgono dalla realtà creata da questi ultimi due decenni di politiche neoliberiste condotte dai governi di centro-destra e di centro-sinistra a livello nazionale e regionale.
Esemplare è la questione dell'acqua in Sicilia infeudata, dal governo Capodicasa e da quelli che si sono succeduti, ad una congerie di imprese private e di strutture semipubbliche clientelari che fanno capo a Veolia, un monopolio internazionale francese. È in corso una forte mobilitazione - promossa dai sindaci spinti dalle popolazioni - che, a seguito delle privatizzazioni, hanno avuto meno acqua e più cara di prima, e ne chiede la ripubblicizzazione. Analoghi movimenti sono nati attorno alla politica dei rifiuti, ma soprattutto contro il blocco, imposto dalle direttive nazionali e realizzato da Lombardo, allo sviluppo delle energie eoliche e solari che darebbero lavoro a decine di migliaia di siciliani e vitale soccorso alle finanze dei Comuni. Sono in corso anche lotte per la Fiat e sulla gestione fallimentare delle grandi città.
Ma quello che manca è una forza politica, anche modesta, anche derivante, per cominciare, dalla sommatoria delle due liste ex Prc che si sono affrontate nelle ultime elezioni europee, che abbia un programma alternativo unificante capace di intervenire nei contrasti interni alle forze governative. Una forza di sinistra che si prepari a gestire l'ondata favorevole che può svilupparsi in Sicilia come avvenne, ad esempio, all'epoca della Primavera di Palermo e di Catania, quando in quest'ultima città addirittura si affrontarono al ballottaggio due candidati di sinistra, Bianco e Fava, con l'esclusione della destra.

di Nicola Cipolla da Il Manifesto

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