HOME       BLOG    VIDEO    EVENTI    GLI INVISIBILI    MUSICA    LIBRI    POLITICA LOCALE    POST PIU' COMMENTATI

giovedì 11 giugno 2009

Fabrizio De Andrè - La Domenica delle Salme




FABRIZIO DE ANDRE' - LA DOMENICA DELLE SALME

Tentò la fuga in tram
verso le sei del mattino
dalla bottiglia di orzata
dove galleggia Milano
non fu difficile seguirlo

il poeta della Baggina
la sua anima accesa
mandava luce di lampadina
gli incendiarono il letto
sulla strada di Trento

riuscì a salvarsi dalla sua barba
un pettirosso da combattimento

I Polacchi non morirono subito
e inginocchiati agli ultimi semafori
rifacevano il trucco alle troie di regime
lanciate verso il mare

i trafficanti di saponette
mettevano pancia verso est
chi si convertiva nel novanta
ne era dispensato nel novantuno

la scimmia del quarto Reich
ballava la polka sopra il muro
e mentre si arrampicava
le abbiamo visto tutto il culo

la piramide di Cheope
volle essere ricostruita in quel giorno di festa
masso per masso
schiavo per schiavo
comunista per comunista

La domenica delle salme
non si udirono fucilate
il gas esilarante
presidiava le strade
la domenica delle salme
si portò via tutti i pensieri
e le regine del ‘’tua culpa’’
affollarono i parrucchieri

Nell’assolata galera patria
il secondo secondino
disse a ‘’Baffi di Sego’’ che era il primo
si può fare domani sul far del mattino
e furono inviati messi
fanti cavalli cani ed un somaro
ad annunciare l’amputazione della gamba
di Renato Curcio
il carbonaro

il ministro dei temporali
in un tripudio di tromboni
auspicava democrazia
con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni
voglio vivere in una città
dove all’ora dell’aperitivo
non ci siano spargimenti di sangue
o di detersivo
a tarda sera io e il mio illustre cugino De Andrade
eravamo gli ultimi cittadini liberi
di questa famosa città civile
perché avevamo un cannone nel cortile

La domenica delle salme
nessuno si fece male
tutti a seguire il feretro
del defunto ideale
la domenica delle salme
si sentiva cantare
quant’è bella giovinezza
non vogliamo più invecchiare

Gli ultimi viandanti
si ritirarono nelle catacombe
accesero la televisione e ci guardarono cantare
per una mezz’oretta
poi ci mandarono a cagare
voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio
coi pianoforti a tracolla travestiti da Pinocchio
voi che avete cantato per i longobardi e per i centralisti
per l’Amazzonia e per la pecunia
nei palastilisti
e dai padri Maristi
voi avete voci potenti
lingue allenate a battere il tamburo
voi avevate voci potenti
adatte per il vaffanculo

La domenica delle salme
gli addetti alla nostalgia
accompagnarono tra i flauti
il cadavere di Utopia
la domenica delle salme
fu una domenica come tante
il giorno dopo c’erano i segni
di una pace terrificante
mentre il cuore d’Italia
da Palermo ad Aosta
si gonfiava in un coro
di vibrante protesta

La Domenica delle Salme è un singolo di Fabrizio De André, incluso nell'album Le nuvole (1990). Fu una delle prime canzoni del cantautore genovese ad essere accompagnata da un videoclip, girato da Gabriele Salvatores. Il brano si aggiudicò la Targa Tenco.
La musica è scritta con Mauro Pagani, mentre il testo è di Fabrizio. Racconta Pagani:
« Quando il disco fu terminato Fabrizio se lo portò a casa e dopo qualche giorno mi telefonò. «Manca qualcosa, è tutto bello ma un po' troppo leggero, manca quello che pensiamo davvero di tutto questo, manca quello che purtroppo ci è accaduto». Così qualche giorno dopo partimmo per la Sardegna, e dopo aver fatto il pieno di bottiglioni di Cannonau ci nascondemmo all'Agnata, la sua tenuta in Gallura. Faber tirò fuori uno dei suoi famosi quaderni, e le cento righe di appunti quasi casuali, raccolti in anni di letture di libri e quotidiani, in tre giorni diventarono la descrizione lucida e appassionata del silenzioso, doloroso e patetico colpo di Stato avvenuto intorno a noi senza che ci accorgessimo di nulla, della vittoria silenziosa e definitiva della stupidità e della mancanza di morale sopra ogni altra cosa. Della sconfitta della ragione e della speranza.
Credo che nel testo de La domenica delle salme ci sia tutta la grandezza di Fabrizio narratore. Ci sono tutti gli elementi per capire, ma tutto è raccontato, non ci sono sintesi o giudizi, che, come lui diceva spesso, nelle canzonette sono peccati mortali. La visione del tutto scaturisce dalla somma di tante piccole storie personali, nessuno grida in quella ridicola tragedia. Nessuno punta il dito, tutto si spiega da sé.
E nell'elenco dei patetici fallimenti, come tutti i grandi Faber non dimentica il proprio e quello dei suoi colleghi canterini, giullari proni e consenzienti di una corte di despoti arroganti e senza qualità. »
(Mauro Pagani, 2006)

E' una delle critiche politiche più forti e note incise dal cantautore genovese, ancora più esplicita e dura, anche se velata dalla satira, delle canzoni a sfondo politico di Storia di un impiegato e anche di Rimini. Un amaro resoconto di una società fatiscente che, dopo aver represso i pericolosi ideali rivoluzionari degli anni sessanta-settanta, lascia un incolmabile vuoto, una «pace terrificante» in realtà ben peggiore perché priva d'idee e virtù positive.
La canzone, piena di riferimenti, spesso impliciti, alla realtà socio-politica, si apre con scene di desolazione metropolitana, dove Milano è presa a simbolo dell'Italia e del mondo occidentale: la fuga di un ospite della casa di riposo milanese della Baggina (dove sarebbe iniziata, più tardi, la vicenda di Tangentopoli), i lavavetri dell'est e le prostitute. Nonostante la dichiarata vittoria della democrazia, rappresentata dal crollo del Muro di Berlino, non c'è un mondo di uomini liberi ma soltanto di nuovi schiavi, come quelli che costruirono la piramide di Cheope, un mondo dove si rischia un nuovo regime ("la scimmia del Quarto Reich"). Una "Domenica delle Salme", dove il gas esilarante costringe alla felicità falsa, dove si seppelliscono un "defunto ideale" (il comunismo) e il cadavere di Utopia (l'Anarchia e il Sessantotto), e i politici ("il ministro dei temporali") se ne stanno con le mani in mano, e solo chi ha ancora velleità di riscossa ("un cannone nel cortile") è un cittadino libero. In un mattino silenzioso due secondini della "galera patria" , Baffi di Sego (gendarme austriaco in una satira di Giuseppe Giusti) e il secondo secondino (ironiche allusioni ai vertici del PCI?) si preparano in silenzio, con il resto dello Stato, a mettere la parola fine alla storia degli ideali rivoluzionari, simboleggiati dall'amputazione della gamba (una critica alle condizioni sanitarie delle carceri italiane) di Renato Curcio, l'ex terrorista capo delle Brigate Rosse, detenuto molto più a lungo degli assassini delle stragi neofasciste (De André spiegò così la citazione del personaggio, assimilato al carbonaro Piero Maroncelli). Rimangono soltanto pochi che si oppongono, giacché chi aveva una voce potente (i colleghi cantautori) si è messo a ballare vestito da Pinocchio e con pianoforti in spalla per il "regime" cantando, a seconda della convenienza, per stranieri occidentali (longobardi), comunisti e funzionari di partito (centralisti), cause ambientali di comodo (Amazzonia), per il denaro, nei palastilisti (allusione ai grandi congressi socialisti craxiani degli anni '80)[2], per la Chiesa (Padri Maristi). Alla fine resta solo un coro di cicale che si spegne, simbolo della protesta.

Nel testo del brano De André cita il suo «illustre cugino de Andrade» in riferimento al poeta brasiliano Oswald de Andrade.

« Tra i molti poeti sudamericani che conosco, Oswald de Andrade è uno dei miei preferiti, probabilmente per quel suo atteggiamento comportamentale oltre che poetico totalmente libertario, per quel suo anticonformismo formale che lo fa essere qualcosa di più e di meno e comunque di diverso da un poeta in senso classico. E poi è dotato di un umorismo caustico difficilmente riscontrabile in altri poeti dei primi del Novecento. »
(Fabrizio De André, 1990[3])

da Wikipedia

Nessun commento:

Posta un commento