Barbara Serdakowski è una scrittrice e poetessa canadese d’origine polacca che vive a Firenze. È in Italia dal 1996.
Per la prima volta, nell’ottobre del 2008 ho potuto inoltrare la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno alla posta, invece di andare in questura. L’angusta saletta di via Zara, a Firenze, sarebbe diventata un antipatico ricordo, così come le umilianti file sotto il porticato di via San Gallo per il ritiro.
Nella stanzina di via Zara eravamo al coperto ma stretti. Eri fortunato se riuscivi a trovare una sedia per appoggiarci mezza natica. Poi c’era l’“inginocchiatoio”. Era lo sportello delle informazioni davanti al quale si formava una fila di cinque colonne di persone. Quando arrivava il suo turno, il primo della fila spariva in basso. Ho capito che succedeva non perché si doveva chinare, ma perché si gettava in ginocchio: il buco sul vetro era troppo in basso e non c’era spazio per appoggiare i documenti. A un certo punto abbiamo cominciato a riderci su, e a fare il tifo per chi avrebbe dovuto dibattersi tra carte e cartelle, mentre gli agenti gli abbaiavano contro.
Per ritirare il permesso bisognava invece andare in via San Gallo. C’era una folla compatta, che non cedeva per paura di perdere il posto, e un agente che raccoglieva i nostri dati. Una volta per farmi mettere in lista ho dovuto strusciarmi contro centinaia di persone urlando disperata: “Ci sono anch’io!”. E non ho fatto in tempo a tornare sul marciapiede che sotto il porticato già rimbombavano i nomi: Mamadou Diakhate, Gabriela Mihaela Tateanu, Chen Liu, Ibrahim Abdoul Azaouri… Barbara Serdakowski. Ho sentito sbraitare il mio nome più volte. Con imbarazzo ho guardato le finestre aperte sulla strada, i passanti e le macchine che passavano lentamente.
Cambiare per restare uguale
L’ultima volta, invece, sono andata alla posta. Ero felice di poter sfruttare questa nuova opportunità. Un po’ di tempo dopo mi è arrivato un sms: la data del ritiro era otto mesi dopo. Il giorno stabilito ho mancato l’appuntamento. Avevo cercato di avvisare ma avevo ricevuto solo informazioni contraddittorie. Così sono andata al nuovo ufficio immigrazione della questura di Firenze. È grande e accogliente, ci sono le file numerate, diversi sportelli e posti a sedere per tutti. Sembra un altro paese.
“Lei aveva appuntamento il 2 agosto”, mi dicono.
“Sono stata operata. Ho chiamato la questura, mi hanno detto…”.
“Oggi non abbiamo tempo per lei”. Mi danno appuntamento per tre mesi dopo.
“Come? E la tessera sanitaria? È da otto mesi che aspetto, è solo un rinnovo…”.
“Le ricordo che lei ha presentato la richiesta in ritardo e potrei benissimo annullarle il permesso, lo sa questo?”.
Torno in questura il 12 novembre 2009. L’altra volta funzionavano entrambi i bagni. Stavolta quello dei maschi è chiuso, quello delle donne è sporchissimo e non ha nemmeno il rubinetto. Niente acqua per circa mille persone.
B52, tocca a me.
“Vada allo sportello 3, lì si occupano di quelli sposati con italiani”.
Non mi guarda in faccia, qualcosa non va. Allo sportello 3 mi dicono che non dovevo spedire la richiesta per posta. Che non è colpa mia ma dell’ufficio postale. L’uomo mi fa ricompilare tutti i moduli e mi dice allegro:
“Torni tra un paio di mesi per vedere se è pronto”.
“Tra due mesi?”.
Mi guarda come per capire se parlo bene l’italiano:
“Venga pure verso le dieci, le undici, non si preoccupi…”.
Mentre esco barcollando vedo nell’atrio una folla di persone pressate l’una contro l’altra. Un bel giovane ufficiale con la voce grossa tuona: Mamadou Diakhate, Gabriela Mihaela Tateanu, Chen Liu… Mi sembra già di sentire di nuovo il mio nome: Serdakowski 1, Serdakowski 2, Serdakowski 3. Barbara Serdakowski
da Internazionale
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