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lunedì 22 marzo 2010

Il corteo antimafia di Libera caccia i camerati di Forza Nuova

Fuori la mafia dallo Stato
Milano grande successo per il corteo antimafia organizzato da Libera per ricordare migliaia di vittime della mafia e per denunciare le collusioni tra mafia e potere.
150 mila persone (soprattutto giovani) hanno partecipato al corteo che in molti cartelli ha espresso anche la sana ribellione contro il pericolo di un fascismo imminente e contro le leggi razziste..In Piazza Duomo sono stati letti i nomi dei tanti martiri uccisi dalla mafia: dai sindacalisti Placido Rizzotto e Salvatore Carnevale al comunista Pio La Torre, dalle vittime di Portella della Ginestra alle vittime delle stragi del 1992.
Momenti di tensioni quando i militanti di Forza Nuova hanno tentato di infiltrarsi nel corteo, scatenando la reazione dei manifestanti che li hanno ricacciati indietro e ne hanno impedito la partecipazione alla manifestazione. I militanti di Forza Nuova sono dovuti tornare di corsa nella loro sede dove sono rimasti rintanati per tutta la mattina, scortati dalla polizia. Sono usciti soltanto di pomeriggio per andare a protestare ad uno dei seminari tematici organizzati da Libera, in programma al Circolo della stampa e riguardante il silenzio dell'informazione sulle mafie.
I neofascisti hanno fatto irruzione interrompendo la conferenza e protestando contro Libera per l'esclusione dal corteo. Subito dopo i militanti di Forza Nuova, tra i fischi e gli insulti dei presenti, sono stati espulsi dalla sala.
Negli altri seminari tematici, invece, si e' parlato di razzismo, di militarizzazione delle città, di giustizia, di repressione, di corruzione, di impegno civile e di arte contro la mafia.
Particolarmente piena la sala Schuster nella quale si e' discusso di giustizia, di fronte a quello che il giornalista-scrittore Piero Colaprico ha chiamato il "popolo della verita'", ovvero giovani cresciuti con il mito della Resistenza e con il mito di Falcone e Borsellino.
I magistrati presenti in sala hanno attaccato duramente il processo breve e il pacchetto sicurezza. I giovani si sono commossi e hanno applaudito a scena aperta quando Maria Scaglione ha chiesto per l'ennesima volta verita' e giustizia per l'omicidio (ancora impunito) del padre, il procuratore Pietro Scaglione.
Per il resto, la due giorni di Libera e' stata caratterizzata dalla massiccia presenza della sinistra radicale (dai comunisti Ferrero, Agnoletto e Forgione alla Sinistra Critica, dalla sinistra democratica di Claudio Fava a Sinistra e Libertà), dei Verdi, di Italia dei Valori e del Partito Democratico. Totalmente assente il centro destra, con l'eccezione di Fabio Granata e Angela Napoli.
E tante polemiche ha scatenato l'assenza del sindaco di Milano Letizia Moratti, del vicesindaco De Corato e del governatore Formigoni. Cosi' come e' apparsa scandalosa la censura del Tg1 che ne' nell'edizione serale del venerdi' 19 ne' nell'edizione delle 13.30 di sabato 20 marzo ha minimamente parlato dell'iniziativa di Libera. Mentre il solerte Tg1 del fedele Minzolini ha ubriacato gli italiani con le notizie enfatizzanti la manifestazione berlusconiana.

da Indymedia

L'oppio di Marjah


Le autorità afgane consentiranno ai contadini di continuare a coltivare papaveri da oppio. Malali Joya: "Lo scopo dell'operazione a Marjah era riprendere il controllo delle principali piantagioni del paese"

di Enrico Piovesana
L'operazione 'Moshtarak' - la più grande offensiva militare alleata dall'invasione dell'Afghanistan nel 2001 - ha consentito alle autorità afgane di riprendere il controllo della cittadina di Marjah e dell'intero distretto rurale di Nadalì, nella provincia meridionale di Helmand. Gli emissari del governo Karzai, che sono tornati ad amministrare queste terre dopo oltre due anni di contropotere talebano, hanno promesso di riaprire le scuole, ristabilire le libertà civili della popolazione e di sradicare la coltivazione dei papaveri da oppio.

Marjah, la capitale dell'eroina.
"Distruggeremo le piantagioni di papavero di Marjah e Nadalì, perché la produzione di oppio è illegale", ha dichiarato alla stampa Zalmai Afzali, portavoce del ministero Antidroga, suscitando le proteste della popolazione locale, la cui sussistenza dipende interamente dal 'tariàk', la preziosa resina marrone che si estrae dai papaveri.
Secondo l'ultimo rapporto del dipartimento antidroga delle Nazioni Unite (Unodc), la provincia di Helmand produce da sola quasi il 60 per cento di tutto l'oppio afgano (4 mila delle 6.900 tonnellate totali e 70 mila ettari di piantagioni su un totale nazionale di 123 mila), e il distretto di Helmand in cui maggiormente si concentra la produzione (e la raffinazione) è proprio quello di Marjah-Nadalì: zona non a caso nota come 'la capitale afgana dell'eroina'. Ma anche capitale mondiale, visto che l'Afghhanistan produce il 90 per cento dell'eroina che circola sul pianeta.

Nessuno distruggerà le piantagioni.
Ma nei giorni scorsi, un esponente del governo afgano, che ha chiesto di non rendere pubblico il suo nome, ha dichiarato a Irin News, l'agenzia giornalistica dell'Onu, che al di là delle dichiarazioni ufficiali, le autorità hanno informalmente concesso ai contadini del distretto di continuare a produrre oppio, per non alienarsi il sostegno della popolazione locale che, senza i guadagni dell'oppio, finirebbe sul lastrico. "Il governo – spiega la fonte – ha garantito che nessuna distruzione di piantagioni verrà effettuata a Marjah e Nadalì, almeno per quest'anno".
Una conferma esplicita viene dal nuovo governatore di Marjah: "Bisogna stare attenti con la questione dell'oppio: non lotteremo contro il narcotraffico distruggendo le piantagioni", ha dichiarato Haji Abdul Zahir all'inviato del Miami Herald, che a Marjah ha parlato anche con il maggiore dei Marines David Fennell: "Noi non siamo venuti qui per sradicare i papaveri".
Rimane da capire che fine farà il prossimo raccolto.

Il vero scopo dell'Operazione 'Moshtarak'.
"L'unico vero scopo dell'operazione 'Moshtarak' - spiega a Peacereporter Safatullah Zahidi, un giornalista locale - era mettere le mani sulle piantagioni di papavero da oppio. E quelle di Marjah e del suo distretto, Nadalì, sono le più grandi e produttive di tutto l'Afghanistan. Grazie all'operazione Moshatarak sono tornate sotto controllo del governo e degli americani, giusto in tempo per il raccolto di marzo. E ora faranno lo stesso con le piantagioni della seconda principale zona di produzione di oppio, quella di Kandahar".
Un'interpretazione dei fatti clamorosa, ignorata in Occidente ma largamente condivisa in Afghanistan. Anche da personaggi molto noti e autorevoli, come l'ex parlamentare democratica Malalai Joya, nota in tutto il mondo per il coraggio che ha sempre dimostrato nel denunciare i crimini e la corruzione dei governanti afgani finanziati e protetti dall'Occidente.

Malalai Joya: "Americani coinvolti nel narcobusiness''.
"L'obiettivo di queste operazioni militari - ci spiega Malalai - non è quello di sconfiggere i talebani, che vengono regolarmente avvertiti prima in modo da poter fuggire altrove. I talebani e i terroristi servono agli americani per mantenere il mio paese nell'insicurezza, così da avere un pretesto per rimanere in Afghanistan assicurandosi il controllo di questa regione strategica, vicina all'Iran, alla Cina e ai paesi dell'Asia centrale ricche di gas e petrolio, ma anche per continuare a fare affari con lo sporco business dell'oppio. Oppio che, trasformato in eroina, frutta enormi guadagni sia al governo afgano che alle forze americane, che portano la droga fuori dall'Afghanistan con i voli militari che decollano dalle basi aeree di Kandahar e di Bagram. Quest'ultima offensiva in Helmand, che tra l'altro - sottolinea la Joya - ha causato molte più vittime civili di quelle pubblicamente dichiarate, è l'ennesima conferma di ciò: l'obiettivo non era colpire i talebani, che hanno avuto tutto il tempo di scappare, ma semplicemente riprendere il controllo della principale zona di produzione di oppio di tutto il paese".

da PeaceReporter

Gli impagabili inondano la capitale



di Andrea Palladino
E’ terra, è acqua, è democrazia. Sono i beni comuni, quell’insieme di diritti naturali e essenziali, che compongono il nostro quotidiano. Qualcosa che hanno già capito le grandi aziende multiutility: «Gestiamo l’essenziale della vita», recita, non a caso, lo slogan della francese Suez. Sabato i beni comuni avevano duecentomila volti, differenti tra loro, ma con storie e lotte che riproducevano l’intero paese. In prima fila il grande popolo dell’acqua pubblica, raccolto dietro la sigla del Forum nazionale, che da quattro anni ha iniziato una rivoluzione silenziosa ma terribilmente efficace. E poi, a seguire, le tantissime vertenze sull’ambiente, sui territori divenuti terre di conquista per le ecomafie, sui veleni industriali e sociali che stanno intaccando il quotidiano, la stessa aria da respirare e la stessa acqua da bere.
Comitati contro le discariche della Campania, i No Tav scesi dalla Val di Susa, i gruppi nati intorno alla lotta contro la base Dal Molin, i comitati calabresi con ancora negli occhi le manifestazioni contro la costruzione del ponte e per la verità sulle navi dei veleni. Storie che si incrociavano, mentre il corteo scendeva - imponente - lunga via Cavour, entrando nei Fori imperiali, sfiorando il Campidoglio, dove la giunta Alemanno sta preparando l’atto finale della storia centenaria di Acea, affidandola definitivamente ai privati.
E’ festa, è entusiasmo ed è voglia di riprendersi la vita. Gli slogan cercano di riprodurre in qualche modo questo strano mondo del movimento dei beni comuni. «Terra vuol dire democrazia», grida un gruppo che vuole unirsi idealmente alla lotta dei palestinesi, poi non così lontana dal movimento per l’acqua pubblica. O ancora «più società e meno spa», tanto per far capire quale sia l’alternativa alla gestione privata dell’acqua, dei rifiuti, del quotidiano. La
questione, da queste parti, è chiara e semplice: non possono essere i consigli di amministrazione a gestire i nostri territori. Si deve ritornare ai consigli comunali e poi alla gestione partecipata, ricordava ieri Marco Bersani del Forum italiano dei movimenti per l’acqua. Ed è questo il percorso di quattro anni che è sfociato nella manifestazione romana. Lo ricorda Patrizia, dell’Abruzzo social
forum: «Il consiglio comunale de L’Aquila ha votato tre mesi fa la dichiarazione dell’acqua come bene senza rilevanza economica». Ovvero un passaggio che sottrae - simbolicamente e politicamente - le risorse idriche dal decreto Ronchi, la legge che consegna la gestione dell’acqua alle multinazionali.
Il corteo era aperto da un unico striscione del Forum, seguito immediatamente dai gonfaloni dei comuni. Perché è dai consigli comunali, da quella parte di istituzioni più vicine al quotidiano e ai beni comuni, che sta ripartendo nel paese la vera resistenza alle privatizzazioni, ai veri interessi della destra al governo. Sono duecento cinquanta i comuni che già hanno cambiato lo statuto, inserendo il principio della non rilevanza economica dell’acqua. Comuni come quello di Napoli, in prima fila nella manifes-t-azione di ieri. O come quello di Bassiano, mille e seicento abitanti e una resistenza strenua contro Acqualatina, che si è presa gli acquedotti usando commissari di governo, per vincere con la
forza la resistenza dei sindaco e dei consiglieri. O ancora, come quello di Lanuvio, paesino della provincia di Roma, dove l’acqua da tre anni è gestita da Acea.
L’altra parte del vasto movimento sono i lavoratori. I dipendenti di Hera - il gestore multiutility emiliano, da poco quotato in borsa - hanno ben chiaro qual è l’impatto della privatizzazione anche per chi lavora nelle spa. «Da quando siamo diventati a tutti gli effetti una società privata - racconta un delegato di Hera - c’è stata una riduzione del personale del 30%, con l’esternalizzazione di molti servizi operativi». Come quello, poco redditizio per i privati, della gestione dei depuratori nella zona appenninica. Gestioni che incidono direttamente sulla qualità della vita delle comunità locali, che ora si trovano davanti bollette stratosferiche per poter garantire il profitto dove prima esisteva il servizio pubblico. «E noi lavoratori sappiamo - continuano i dipendenti di Hera - che ora è peggiorata la qualità del servizio per gli utenti». Qualità che nella gestione
dell’acqua e dei rifiuti ha un impatto diretto sulla vita.
Enti locali, cittadini e lavoratori, tre pezzi di un movimento intenso, che riesce a tenere da parte - senza escluderli però - i partiti della sinistra. Questo era il volto del corteo dei duecentomila militanti per i beni comuni, che ha messo in prima fila il missionario comboniano padre Alex Zanotelli, lasciando in coda i pezzi dei partiti politici. C’era Sel, c’era Rifondazione, Sinistra critica, i Verdi di
Bonelli, l’Italia dei valori e altre sigle della sinistra. Non da protagonisti per una volta, lasciando il ruolo di primo piano alle centinaia di comitati locali. E anche le sigle storiche e nazionali dell’ambientalismo - come il Wwf e Legambiente - pur facendo parte a pieno titolo del Forum, hanno accompagnato il corteo con una presenza in secondo piano. «Vedi quello che ci unisce al movimento dell’acqua -
spiega Giovanni del comitato contro la discarica di Caiano e Marano, in Campania - sono persone come Alex Zanotelli, che sul territorio ci fanno conoscere, ci mettono in contatto». Una rete diffusa, che si è presentata a Roma, con tutta la sua forza.
E forse anche per questo, anche per questa differenza che spiazza, i media mainstream hanno quasi ignorato il lungo corteo, puntando le telecamere solo su Berlusconi. «A noi non ci paga nessuno», dicevano tantissimi cartelli portati dal popolo dell’acqua. L’unico riferimento, pieno di orgoglio, all’altra manifestazione. Pochi, pochissimi erano gli slogan verso Berlusconi, molto meglio, per chi difende i beni comuni, proporre l’altro mondo possibile. E chissà forse proprio questa piazza ha decretato la fine inesorabile del cavaliere.

da Il Manifesto