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martedì 13 ottobre 2009

Tangenti nella sanità chiesto il processo per Fitto e altri 70

BARI - La discussione della pubblica accusa è durata poco più di un minuto. Il tempo sufficiente per chiedere al gup Ro s a Calia di Pinto il rinvio a giudizio per il ministro degli Affari Regionali, Raffaele Fitto, per l’imprenditore ed editore romano Giampaolo Angeluccie per altri 76 dei 92 indagati (comprese 14 imprese).

La richiesta è giunta al termine dell’udienza preliminare del procedimento «La Fiorita» che si concluderà il 30 novembre e nel quale è costituita parte civile la Regione Puglia. I fatti contestati fanno riferimento al periodo compreso tra il 1999 e il 2005, quando Fitto era presidente della Regione Puglia, e si prescriveranno tutti entro il 2012.

Il reato di corruzione contestato a Fitto ed Angelucci ruota intorno ad una presunta tangente di 500.000 euro che, secondo l’accusa, sarebbe stata versata da Angelucci sul conto corrente del movimento politico «la Puglia prima di tutto», creato da Fitto per le regionali del 2005. A Fitto viene contestata anche una presunta appropriazione di circa 190.000 euro dal fondo di rappresentanza del presidente della Regione Puglia da utilizzare durante la campagna elettorale del 2005.

Stando alla ricostruzione degli inquirenti la somma di 500.000 euro sarebbe servita per ottenere dalla giunta regionale pugliese, nel 2004, l'aggiudicazione dell’appalto settennale da 198 milioni di euro per la gestione di undici Residenze sanitarie assistite (Rsa). L’inchiesta ebbe un risvolto inaspettato e clamoroso quando, inconseguenza di questi fatti, nel giugno 2006, Angelucci venne arrestato, rimanendo per breve tempo ai domiciliari. Per Fitto, essendo frattanto divenuto parlamentare (FI), la magistratura barese chiese invano alla Camera l’autorizzazione a procedere all’arresto. La tesi sostenuta dall’accusa è che sarebbe stato creato un sistema per assicurare alla società barese «La Fiorita» (dei fratelli Dario e Pietro Maniglia) le concessioni di servizi di pulizia, sanificazione ed ausiliariato da parte di enti pubblici e di Ausl pugliesi. Un sistema al quale, - ipotizzano gli inquirenti - Fitto avrebbe offerto «copertura politica».

A capo del quale vi sarebbero stati Dario e Pietro Maniglia, proprietari della Fiorita. Prima della discussione ieri il gup ha ammesso sette imputati al giudizio con rito abbreviato e per altri cinque, tra cui l'imprenditore campano Alfredo Romeo (accusato di turbativa d’asta e di concorso in rivelazione del segreto d’ufficio), ha disposto l’invio degli atti alla procura di Roma per competenza territoriale. Ha inoltre respinto tutte le eccezioni dei difensori relative alla inutilizzabilità delle intercettazioni e di alcuni atti d’inda gine.


lagazzettadelmezzogiorno.it

NARDO’ – ECCO LA RISPOSTA DEI SERVIZI SOCIALI SULLA SITUAZIONE DEGLI STAGIONALI

Con ritardo pubblichiamo la lettera di risposta inviataci dall’ Assessore alle Politiche Sociali Carlo Falangone e dal Dirigente Settore VII Dott. Anna Dell’Angelo Custode, in merito alle richieste inoltrate dal Movimento per la Sinistra Nardò onde prevenire l’insorgere di una nuova emergenza stagionali.

Al Movimento per la Sinistra – Nardò
alla c.a. Sig.ra Claudia Raho


Oggetto: Riscontro alla Vs. nota in merito alla situazione dei lavoratori stagionali immigrati.

Con riferimento alla Vs. nota di cui all’oggetto, nell’assicurare la massima attenzione all’argomento di cui trattasi, che per il prossimo anno verrà affrontato sicuramente in tempo utile, al fine di una sempre migliore pianificazione dell’attività di accoglienza, si comunica quanto segue:

•si procederà a richiedere un’implementazione del numero di cassonetti per la raccolta di rifiuti presenti nelle adiacenze della Masseria Boncuri;
•si potrà assicurare una visita periodica presso il Centro di un’assistente sociale che raccolga richieste e rilievi di situazioni particolari, in aggiunta al servizio in tal senso già reso dal soggetto gestore;
•ci si adopererà per assicuare il posizionamento di una fontana pubblica di acqua potabile il più vicino possibile alla Masseria Boncuri (in tal senso, saranno avviati opportuni contatti con i responsabili di zona dell’Acquedotto Pugliese, con i quali si valuterà anche la questione relativa alla potabilità dell’acqua del pozzo presente nella struttura);
•si è già richiesta al Settore LL.PP. la possibilità di destinare parte dei fondi rinvenenti dalle economie di gara per l’appalto dei lavori di ristrutturazione dell’immobile, all’allestimento di gazebo e docce esterne, rilevatisi molto utili anche alla luce della proroga delle attività di accoglienza sino al 15 settembre u.s.;
•sicuramente saranno maggiormente coinvolti Enti, Soggetti e/o Uffici competenti e a vario titolo interessati alla questione, per l’attuazione delle migliori sinergie sul tema in oggetto.

Nell’apprezzare la completa disponibilità del Movimento in indirizzo alla concreta collaborazione già dimostrata, si auspicano anche per il futuro rapporti di proficua e reciproca intesa.


IL DIRIGENTE SETTORE VII
Dott. Anna Dell’Angelo Custode
L’ASSESSORE ALLE POLITICHE SOCIALI
Carlo Falangone


Cliccando questo link troverete le richieste fatte dal Movimento per la Sinistra Nardò

Quel dialogo fra Cosa nostra e lo Stato


di Norma Ferrara
Maurizio Torrealta: le stragi erano state annunciate
Solo pochi giorni fa ai microfoni di Annozero Claudio Martelli, Ministro della Giustizia negli anni delle stragi, racconta: Borsellino sapeva della trattativa.
Dice di essere stato illuminato dalle parole di Massimo Ciancimino sul dialogo fra mafia e Stato e di aver cosi ricordato che l'allora direttore degli affari penali del Ministero, Liliana Ferraro, in occasione del trigesimo della strage di Capaci avrebbe avvertito Borsellino del contenuto di una visita ricevuta dal capitano De Donno. De Donno avrebbe riferito della disponibilità dell’ex sindaco di Palermo Vtio Ciancimino ad aprire un canale di comunicazione con Cosa Nostra se avesse ricevuto una copertura politica.Nel gennaio del 1993 Salvatore Riina viene arrestato e il giornalista Maurizio Torrealta di Rainews 24 descrive attraverso il racconto del capitano Ultimo l'arresto del latitante numero uno di Cosa nostra. In quelle pagine non c'è traccia di questa trattativa fra mafia e Stato che portò anche all'arresto del boss corleonese. Nel 2002 Torrealta pubblica in un altro libro intitolato "La Trattativa" , il resto di quel racconto. Lo abbiamo sentito per parlare con lui di questa inchiesta e della riapertura delle indagini sulle stragi di Capaci e via d'Amelio.


Dopo aver scritto dell'arresto di Riina lei pubblica nel 2002 "La Trattativa". Da quale spunto investigativo riparte la sua analisi di quel tragico biennio di stragi?
Solo alcuni anni dopo l'intervista al capitano che arrestò Riina mi resi conto che le cose che mi aveva raccontato erano solo quelle che lui mi aveva voluto raccontare, quelle che aveva voluto vedere. E soprattutto mi resi conto di quello che mi aveva taciuto: la trattativa. Fu invece intorno alla seconda metà degli anni novanta che iniziai a leggere la sentenza di via dei Gergofili, nella quale, senza alcuna ambiguità, si parlava di una trattativa portata avanti dal capitano De Donno e dal colonnello Mario Mori. I due violando i compiti cui erano preposti in quegli anni, incontrarono Ciancimino e provarono a trattare con Provenzano, non si sa per conto di chi. La trattativa avrebbe avuto successo solo se fosse stata tenuta segreta all'opinione pubblica e agli altri organi investigativi. Intorno a questa trattativa di cui noi conosciamo soltanto alcune fasi ci sono anche una serie di episodi molto strani. Non ultimi, ma questa è solo una mia opinione, la morte di Gabriele Chelazzi, Pm che stava seguendo le indagini sulla trattativa e il suicidio della direttrice del carcere di Sulmona, Armida Miserere. Il mio lavoro d'inchiesta cominciò quindi dalla lettura degli atti di Firenze ma anche dalla richiesta di archiviazione del magistrato Antonio Ingroia “Sistemi Criminali”. L'inchiesta nonostante fosse una richiesta di archiviazione conteneva al suo interno elementi oggettivi di estremo interesse di cui non potevamo essere a conoscenza mentre accadevano.


Quali elementi?
Primo. Le stragi erano state annunciate, almeno un paio di volte. La prima volta da Elio Ciolini, un neofascista, già condannato per diffamazione che aveva inviato una lettera al giudice Leonardo Grassi, annunciando l'inizio di una stagione di stragi in Italia. Ciolini in questa e in una seconda arrivata dopo l'omicidio di Salvo Lima, precisa che queste decisioni erano state prese in alcune riunione tenutesi in Croazia. La strage di Capaci inoltre venne annunciata 48 ore prima da una piccola agenzia di stampa, Repubblica, vicina ai Servizi segreti. A scriverlo fu in un articolo Vittorio Sbardella, secondo uomo di fiducia di Andreotti, per annunciare che ci sarebbe stato un “botto” che avrebbe modificato l'andamento delle elezioni. Sbardella è interessante anche per le cose che scriverà dopo intorno al cosiddetto “pericolo Golpe”. A questi seguirono una serie mai vista di episodi: attentati contro palazzi fiorentini e romani, fatti in luoghi di potere molto specifici, non quelle dei partiti ma luoghi simbolo del potere, delle istituzioni e della massoneria.


Massoneria, poteri forti e equilibri politici internazionali fanno da sfondo al biennio stragista. Ma non solo. Nella sua inchiesta lei si occupa anche della nascita e del ruolo dei movimenti secessionisti nel Paese. Perché?
Grazie ad un lavoro straordinario della Digos nel nostro Paese sono stati ricostruiti alcuni scenari all'epoca sconosciuti. All'inizio degli anni '90 nacquero diverse organizzazioni, una sorta di Leghe del sud. In una di queste comparivano persino Licio Gelli e Stefano Delle Chiaie, neofascista pluriindagato. Viene da pensare che ci fossero nuovi equilibri politici in bilico e l'interesse a creare più un' Europa delle regioni che delle nazioni. Questo progetto non si è poi sviluppato ma questa ricerca di nuovi equilibri è rimasta e la trattativa è poi avvenuta su un altro versante: quello della ricerca di una situazione politica che garantisse Cosa nostra, messa in difficoltà dal maxi processo. Siamo negli anni novanta infatti, le condizioni internazionali cambiano, è crollata l'Urss e il nemico comunista è stato sconfitto. In quel periodo Cosa nostra percepisce che le forze che avevano utilizzato gli enormi capitali di cui disponeva, per fini politici contro il comunismo, stavano per cancellarli dal panorama politico, come dire: il loro ruolo terminava li. Così diventò importante attirare l'attenzione con azioni capaci di arrivare anche al di là dell'Atlantico per garantire la sopravvivenza di Cosa nostra.

Quali gli elementi nuovi emersi dopo il 2002 data della pubblicazione de La Trattativa, ad oggi?
La strage di via d'Amelio è stata completamente riletta. Si è scoperto che le confessioni di un pentito sono state inquinate, fatte ad arte per sviare tutte le indagini mentre adesso ci sono nuovi collaboratori di giustizia che raccontano come si è sviluppata questa strage, il coinvolgimento dei servizi segreti. Ma anche la trattativa. Per anni si era concentrata l'attezione sull'uomo di fiducia di Riina, il medico Antonino Cinà. Sembra che abbiano avuto un ruolo altri uomini politici già condannati per associazione mafiosa e senatori della Repubblica. Ci sono nuove indagini anche se devono emergere ancora elementi chiari e precisi tali da poter dire con certezza...

Beh, un nome circola da mesi, da dichiarazioni di pentiti e in ultimo anche dalla voce di Massimo Ciancimino nell'ultima puntata di Annozero. Si tratterebbe di Marcello dell'Utri...
Ciancimino può fare questo nome, noi dobbiamo attendere riscontri precisi.

Prima ricordava della rilettura di Via d'Amelio... qual è stato il ruolo, se c'è stato, dei servizi segreti nelle stragi?
Ci sono prove della loro presenza nella strage di Capaci ma soprattutto in quella di via d'Amelio, ovvero quella che sembra davvero inverosimile possa essere stata organizzata da Cosa Nostra. Per varie ragioni ma soprattutto perché avviene in un momento in cui sono in via d'approvazione pesanti leggi antimafia e non poteva esservi mossa più dannosa per Cosa nostra che alzare il tiro contro lo Stato. Su via d'Amelio ricordo personalmente le parole del pentito Salvatore Cancemi, quando gli chiesi di questa strage mi disse: “non parlo” e disse delle altre mezze frasi che lasciavano intendere era opera di “menti raffinatissime”.

I pentiti, siciliani, calabresi, pugliesi, parlano di quegli anni anche quando decidono di non spingersi oltre alcuni episodi. Quella che sembra rimanere in silenzio è la politica. Perché?
A questo proposito cito un episodio significativo che riguardava l'allora Ministro Scotti, accaduto durante il processo per la strage di via dei Gergofili. Gli inquirenti chiesero al Ministro come mai “si fosse addormentato da Ministro degli interni e risvegliato Ministro dell'industria” senza episodi specifici che giustificassero questo cambiamento di ruolo. Lui sorrise ma non rispose, tant'è che alla fine gli inquirenti chiesero che fosse messo agli atti il sorriso di Scotti, perché quel sorriso significava “non posso parlare”. Quello che sappiamo ad oggi è che al suo posto andò Nicola Mancino e viene da pensare che questo cambiamento avesse a che fare con la trattativa. Mancino ha sempre smentito e non esistono al momento prove che possano dimostrare il contrario. Quello che sembra evidente è che la trattiva trovò un consenso trasversale nella politica.

In questi ultimi anni l'attenzione verso il reperimento di prove che dimostrerebbero la trattativa Mafia – Stato è stata diretta verso il famoso “papello”, elenco scritto di contro richieste della mafia allo Stato. Ma è plausibile che funzionari dello Stato si fossero recati a parlare con un personaggio come Vito Ciancimino più volte, senza alcuna tutela? Penso a l'uso di registratori... ad esempio. Potrebbero esserci altre prove di questa trattativa oltre al "papello"?
Se fossi in chi conduce le indagini e fossi venuto a conoscenza di queste prove sarebbe di certo l'ultima cosa di cui parlerei sino a quando non giungerebbero in un' aula di tribunale. Credo comunque che il filone del Papello avrà degli sviluppi importanti e non potrà essere licenziato rapidamente....

Dopo 17 anni Sandro Ruotolo prepara una puntata per AnnoZero e riceve delle minacce. Salvatore Borsellino, fratello del magistrato, partecipa ad una trasmissione di Rainews24 sulle stragi e subisce il furto della sua auto. A chi fa ancora paura questa verità?
Stiamo parlando di forze trasversali ai partiti che hanno governato il Paese prima e continuano ad influenzarne l'andamento anche adesso. Negli anni le condizioni sono cambiate molto, potranno esserci degli sviluppi importanti ma i tempi della giustizia sono lunghi e complessi. Sarà difficile portare avanti questi processi ma oggi sembrano esserci le condizioni e se si riuscirà ad arrivare alla verità sarà il primo caso in Italia in cui saranno identificati i mandanti esterni di una strage.

Tratto da: liberainformazione.org
da AntimafiaDuemila

Un libico prova a portarci "la guerra in casa"

Fallito un tentato attacco bombarolo ad una sede militare dell'esercito a Milano. Le autorità parlano di un gesto isolato ma la fretta tradisce paura.

Proviamo a prendere sul serio quanto è successo oggi a Milano. Del resto, tocca ammetterlo, ci è andata bene in ben due guerre e relative occupazioni. Nessun civile italiano è morto sul suolo nazionale per le responsabilità guerraffondaie delle "nostre" dirigenze politiche. Ad altri/e è andata meno bene: in Spagna e inghilterra è stata la popolazione civile a pagare il prezzo delle politiche belliche dei loro governanti.
Non sembri spropositato l'incauto paragone tra attentati metropolitani "riusciti" e la misera e fallimentare operazione solitaria del libico contro la caserma dell'esercito a Milano. Il paragone è volutamente (sovrac)caricato. Resta il fatto che il gesto "assolutamente isolato", come non tarda a precisare il bamboccione nazionale, nasce comunque da un malcontento diffuso tra le popolazioni arabe e islamiche per le responsabilità della nostra politica estera in quei territori.

Quanto successo - aldilà del suo effettivo grado di pericolosità -resta comunque sintomo ineliminabile di una realtà troppo spesso rimossa: l'Italia è in guerra... anche se non lo vuole ammettere. Tutto questo per dire, che all'orizzonte delle scelte sagge da fare, ce n'è una imprescindibile: ritirare le truppe dall'Afghanistan e dagli altri scenari di guerra. Il problema è che queste sensate parole non possono trovare uditorio nell'attuale classe politica, tanto di governo quanto d'opposizione (esiste ancora?)...

L'attentato, per questa volta, non è riuscito. Ci siamo almeno risparmiati di farci rompere i coglioni per un'altra settimana con funerali di stato o conl a lettura di nuovi penosi "racconti morali" di Saviano, un coglione che a forza di dormire e magiare solo con gli sbirri è arrivato ad identificare il bene comune con il bene-dello-stato. Se non si cambia però registro la prossima volta potrebbero però andarci di mezzo dei civili. Di chi sarà allora la colpa?

da Infoaut

La questione della “razza” in Italia


Genealogia del razzismo lungo le trasformazioni dello sfruttamento

di Anna Curcio

Alla fine degli anni settanta, quando la Rai mise in onda Radici, il serial televisivo sulla storia degli schiavi africani in America, mia nonna che il novecento lo ha attraversato tutto, chiedeva con insistenza di cambiare canale: “i negri mi fanno impressione” diceva. É stato in questo modo che, bambina, ho scoperto la “razza” e il razzismo, anche se solo nei decenni successivi avrei compreso fino in fondo di cosa si trattava, perché quei corpi neri terrorizzavano tanto mia nonna.

Dieci anni dopo, verso la fine degli anni ottanta, la musica di Chuck D, i Public Enemy e la storia delle Black Panther che presi a divorare, forse spinta proprio dalla curiosità aperta dall’affermazione di mia nonna, mi insegnarono che la “razza” non é un fattore biologico, ma anche che le discriminazioni razziali e le lotte che sfidavano apertamente tali discriminazioni, non sono un affare americano. Anche in Italia, oggi come ieri, le discriminazioni sul terreno della “razza” hanno stabilito gerarchie, rapporti di subordinazione e forme dello sfruttamento.

Mia nonna, settantaquattro anni nel 1978 e trentadue nel 1936 al momento dell’espansione italiana in Etiopia, aveva direttamente vissuto la grande depressione, quando la retorica fascista ed il progetto di espansione in Africa si proponevano di gestire il terremoto che aveva investito la divisione internazionale del lavoro. All’indomani della crisi si trattava di definire una nuova organizzazione del lavoro e la “faccetta nera” avrebbe garantito l’esistenza di un bacino di forza lavoro a basso costo.

A partire dall’Unità d’Italia, era stato il lavoro meridionale a garantire alle nascenti imprese industriali l’approvvigionamento di forza lavoro a basso costo. Supportato da un’ampia letteratura che distingueva una razza ariana e caucasica nel nord ed una razza negroide nel sud, produttiva la prima, pigra e indolente la seconda, il razzismo antimeridionale di fine ottocento aveva gestito la costituzione del mercato del lavoro dell’Italia unitaria, stabilendo la subordinazione dei lavoratori meridionali. Ma é soprattutto con lo sviluppo industriale del secondo dopoguerra che una «nuova costellazione del razzismo» si impose. Sono gli anni delle migrazioni interne, quando le grandi città industriali del nord moltiplicano rapidamente la popolazione e la razzializzazione del lavoro dal sud trova nei cartelli “non si affitta a meridionali” una delle innumerevoli manifestazioni.

Ancora una volta la subordinazione del lavoro razzializzato si pone a servizio del capitale gestendo, questa volta, le trasformazioni produttive e il “miracolo italiano”. Ma la “razza”, la storia americana e il Black Power insegnano, é anche un potente terreno di soggettivazione, spazio per la produzione di conflitti e ambito di trasformazione politiche e sociali. Sono proprio gli operai meridionali razzializzati che animano le lotte degli anni sessanta e settanta, riconfigurando le relazioni del lavoro e dell’intera società.

Negli anni successivi, i processi di globalizzazione e le trasformazioni produttive, proporranno il razzismo in forma nuova. Ma quando la Rai manda in onda Radici, l’Italia non é un paese multietnico. Il colonialismo straccione di questo paese non ha mai avviato i trasferimenti in massa dalle ex colonie che in Francia o in Gran Bretagna avevano disegnato una società multietnica. Ci vorranno gli anni Ottanta, quando, le spiagge di mezza Italia e le città d’arte del paese si popolano di venditori ambulanti: i «vu cumpra’» in Calabria, dove sono cresciuta. Di lì in avanti accantonato il razzismo meridionale sarà un crescendo di razzismo anti-immigrati che andrà di pari passo al crescere ininterrotto delle migrazioni.

Nel febbraio del 1991 i bottegai fiorentini organizzano un raid contro gli ambulanti. Si tratta a mia memoria, del primo episodio di nuovo razzismo, il primo di una lunga serie di episodi che hanno avuto una violenta recrudescenza negli ultimissimi anni, con l’insediamento del governo razzista di Pdl e Lega Nord. Ma il razzismo istituzionale nella storia più recente di questo paese ci rimanda almeno alla primavera del 1996. Una corvetta della guardia di finanza sperona e affonda nel canale di Otranto l’ennesima nave di profughi albanesi diretta verso le coste pugliesi, Romano Prodi é alla guida del governo. Nel 1998 la legge Turco-Napolitano che istituisce i Centri di Permanenza Temporanea istituzionalizza definitivamente il razzismo anti-immigrati.

Razzializzazione e illegalizzazione saranno di lì in avanti le parole d’ordine bipartisan per la gestione del mercato del lavoro in Italia e in Europa. Nordafricani, filippini, albanesi, senegalesi, etiopi, e poi donne e uomini da Ucraina, Russia, Romania hanno visto alternativamente restringersi o dilatarsi le maglie del razzismo. Un vero e proprio «management razziale» ha a fasi alterne garantito l’accesso di alcuni e l’espulsione di altri. Un sistema a soffietto che si é indiscutibilmente irrigidito con la crisi economica globale. Gli “extracomunitari” albanesi, nemico pubblico negli anni Novanta, hanno lasciato il posto ai rumeni, ormai cittadini europei, quando hanno trovato una collocazione, benché subordinata, nel mercato del lavoro Oggi moltissimi indiani, pachistani, magrebini, senegalesi hanno assunto ruoli chiave, spesso indispensabili, in molti settori produttivi, altri si sono fatti carico del lavoro edilizio, quello in subappalto e privo di garanzie. Finanche il pacchetto sicurezza, la più grande stretta sull’immigrazione che questo paese ricordi, ha dovuto cedere alle pressioni del mercato e garantire un sistema, seppur capestro, per legalizzare i lavoratori e soprattutto le lavoratrici migranti impegnate nel lavoro di cura ormai ampiamente esternalizzato dalle famiglie.

La questione della “razza”, dunque, in Italia come altrove, lungi dall’essere un mero fenomeno ideologico ha radici profondamente materiali. Bisogna indignarsi davanti al respingimento dei richiedenti asilo, alla criminalizzazione di chi é privo di documenti, alle espulsioni. Poiché le condizioni dei migranti sono il paradigma delle nuove forme di vita e della precarietà di tutti, occorre costruire ampie coalizioni che sappiano mettere a tema il nodo dello sfruttamento per rovesciare l’ordine sociale e del lavoro vigente.

da GlobalProject

Pistoia, irruzione alla sede neofascista di Casa Pound: 3 arresti

Pistoia, irruzione alla sede neofascista di Casa Pound: 3 arresti

Ore 18 presidio sotto la Prefettura di Livorno Domenica di tensione a Pistoia dove nel pomeriggio di domenica è stata devastata la sede di Casa Pound, associazione neofascista con sedi sparse in diverse parti d'Italia. Secondo le testimonianze un gruppetto di giovani a volto scoperto hanno fatto irruzione nella sede. Dopo pochi minuti è giunta la polizia sul luogo e dopo aver constatato il fatto si è diretta a poche centinaia di metri al Circolo Arci Primo Maggio dove era in corso un'assemblea. La polizia ha perquisito il circolo non trovando niente di ciò che cercava (spranghe o bastoni secondo il verbale di perquisizione) allora ha deciso di portare tutti partecipanti dell'assemblea (una ventina in tutto, provenienti da varie città della Toscana) in questura. Secondo la teoria della polizia queste persone, fra cui molte donne e molti over40, avrebbero fatto irruzione nella sede di Casa Pound e devastato i locali, dopodichè si sarebbero diretti a poche centinaia di metri al circolo e avrebbero fatto tranquillamente la loro assemblea. Una teoria assurda che infatti non ha trovato alcuna prova concreta ma che non ha impedito alla polizia di fare tre arresti (due ragazzi e una ragazza, uno di Massa e due di Livorno). Al momento non si conoscono ancora le motivazioni. Nel mentre un centinaio di persone si sono riunite fuori della questura di Pistoia per protestare contro i tempi lunghissimi di riconoscimento (12 ore) in cui sono stati trattenuti in questura senza motivo. All'uscita molti dei fermati si dichiaravano completamente allibiti dal comportamento della questura che ha prelevato venti persone a caso da un circolo lasciandole 12 ore in una stanza per un'identificazione che invece avevano già fatto sul luogo quando tutti avevano consegnato le loro carte d'identità.Al momento rimangono ancora molti dubbi, anche da parte delle forze dell'ordine, sulla dinamica dei fatti mentre continua ad essere molto fragile l'ipotesi che l'irruzione sia sta fatta da coloro che dopo un fatto del genere sarebbero andati in assemblea a poche centinaia di metri con il rischio di rappresaglia da parte dei fascisti o di intervento della polizia come poi c'è stato.

fonte: www.senzasoste.it

http://www.osservatoriorepressione.org/2009/10/pistoia-irruzione-alla-sede-neofascista.html
da Antifa

La segreta simmetria tra Pd e Pdl

Democrazia plebiscitaria o democrazia costituzionale? Sovrani assoluti o leader eletti e revocabili? Partecipazione alla vita pubblica o mobilitazioni popolari che durano lo spazio d'un mattino? Il nodo più intricato della transizione italiana sembra arrivare finalmente al pettine. Non solo perché Silvio Berlusconi punta alla resa dei conti finale rilanciando il suo progetto presidenzialista di sempre. Ma perché per la prima volta anche nel Pd diventa ineludibile, dietro le schermaglie congressuali sulle primarie e sulla forma partito, il conflitto rimasto troppo a lungo strisciante sul modello di democrazia.
Conviene addentrarsi in questa segreta simmetria fra i due campi del centrodestra e del centrosinistra, non per tracciare equazioni impossibili ma per cominciare a mettere a fuoco le derive trasversali ai due campi che in venti anni hanno lentamente modificato la costituzione materiale del paese, fino a metterla sempre più in tensione con la Costituzione formale. Detto in altri termini: non si tratta di accusare il centrosinistra di complicità dirette con il progetto berlusconiano di Grande Riforma . Se questo progetto - elezione diretta e senza contrappesi del Presidente (del consiglio o della Repubblica), eliminazione dei poteri di controllo e garanzia attraverso la riforma della magistratura e della Corte costituzionale - venisse effettivamente messo in agenda, non c'è dubbio che troverebbe nel Pd, vuoi di Bersani vuoi di Franceschini, un'opposizione compatta. Il punto non è questo ma quest'altro: aldilà - o al di qua - dell'opposizione al progetto eversivo di Berlusconi, quanto della concezione berlusconiana della democrazia è passato nel senso comune del Pd, nella concezione del partito, della sua leadership e del suo rapporto con l'elettorato?
Il conflitto che nel Pd è in corso sulla questione delle primarie va letto in questa chiave, non come una disputa interna sullo statuto del partito e sulla conta dei consensi a questo o a quel candidato, o come un match tra chi ha più a cuore il voto degli iscritti e chi quello degli elettori. Sul piano tecnico, è stato notata più volte, durante il percorso precongressuale, la singolare anomalia di uno statuto che prevede che all'elezione del segretario di un partito possano partecipare a pari titolo gli iscritti al partito stesso e qualsivoglia cittadino, anche elettore dello schieramento opposto. Ma questa singolare anomalia del dispositivo tecnico è la punta dell'iceberg di una filosofia democratica che va presa sul serio e seriamente vagliata non solo per gli esiti futuri, ma per quelli già operanti nel presente.
Fermamente volute dall'ala più «nuovista» prima del Pds-Ds, poi del Pd, le primarie servivano ad «aprire» la forma partito all'elettorato e a dare un'investitura popolare al segretario, automaticamente destinato a diventare anche il candidato premier del partito o della coalizione guidata dal partito. Sottintendono perciò una precisa concezione - bipartitica più che bipolare - del sistema politico, con relativa «vocazione maggioritaria» del Pd, e una altrettanto precisa concezione della forma di governo, incentrata sulla designazione, se non sulla elezione, diretta del premier. Avallano infine una concezione estremamente personalizzata della leadership, che salta la mediazione (e il controllo) degli organismi del partito per fare leva direttamente sul voto popolare espresso una tantum.
Di questa piramide, è evidente a tutti che almeno un pilastro è crollato alle ultime elezioni politiche: la speranza - se non proprio la vocazione - maggioritaria del Pd, attualmente ridotto a un partito del 26%, costretto per necessità se non per scelta a una strategia delle alleanze, e di conseguenza a ipotizzare la scelta di un candidato premier diverso dal suo segretario. Tecnicamente parlando, basta questo a mettere in questione l'intera impalcatura. Ma di nuovo, non si tratta solo di un fatto tecnico, né di alchimie calcolate a freddo. Si tratta - si tratterebbe - di calcolare i danni nel frattempo già provocati dal modello in questione.
Leadership personale affidata all'uso dei media, sradicamento sociale e svuotamento delle strutture del partito, mobilitazioni emotive ma sporadiche dell'elettorato: quanti vantaggi e quanti svantaggi ha portato questa china, nel Pd e in tutto il centrosinistra? Quante possibilità ha questa segreta simmetria col modello berlusconiano - questo «berlusconismo debole», com'è stato definito - di prevalere sull'originale? Quanto ne mima, sulla forma di governo, la prassi di una riforma di fatto della Costituzione?
Sia chiaro, nulla garantisce che contro tutto questo non prevalgano, nel Pd, tentazioni di un ripristino della «vecchia» forma partito e delle vecchie mediazioni e alchimie fra partiti. Una innovazione reale della forma partito, adatta ai tempi, non si vede ancora all'orizzonte. Ma per le innovazioni spericolate già sperimentate è certamente già tempo di un bilancio.

da Indymedia

L'ERGASTOLO OSTATIVO


La nostra amica Mita ci ha inviato delle testimonianze di ergastolani per farci capire meglio il concetto della "fine pena mai".

urladalsilenzio

Cari amici,
al fine di diffondere il più possibile questa realtà di sofferenza purtroppo ignorata quasi da tutti.
Io fino a poco tempo fa non sapevo cosa fosse l’ergastolo ostativo, io pensavo che esistesse solo l’ergastolo “normale”, pensavo che in Italia, alla fin fine, il vero ergastolo non lo facesse più nessuno perché tutti dopo 15/20 anni di reclusione uscivano dal carcere, poi invece ho scoperto che in Italia non è così.
Ho scoperto che in Italia esiste ancora l’ergastolo ostativo, cioè il “fine pena mai”, in Italia ci sono persone in carcere da 30/40 anni senza nessuna prospettiva di uscire.
La televisione in genere dà sempre notizie del tipo: “Tizio, condanno all’ergastolo per aver ucciso tante persone, solo dopo 5 anni di carcere, è libero”.
La televisione e la Stampa non dicono mai: “Tizio, condannato all’ergastolo, dopo aver fatto 30/40 anni di carcere, dopo essere diventata una persona migliore, è morto in carcere da solo lontano dai suoi cari” .
La gente spesso resta male informata o parzialmente informata e si crea l’opinione che alla fin fine nessuno sconta veramente la pena e l’ergastolo non lo fa più nessuno, anzi neanche 20 anni fa più nessuno, troppo spesso i mass media dando solo notizie parziali della realtà carceraria, fanno creare l’opinione comune che in carcere alla fin fine si fa la bella vita usando i soldi dei contribuenti.
Io sono stata una di queste persone finché non ho toccato con mano la grande sofferenza che vi è nei carceri che hanno ergastolani ostativi.
L'ergastolo ostativo non prevede nessun beneficio, mai un giorno di permesso: anni e anni, decenni, senza mai un giorno fuori dal carcere, senza mai un Natale in famiglia, senza mai un abbraccio libero con i propri cari. Tutto questo per reati commessi anche 30- 40 anni prima.

L'Italia è l'unico paese dell' Unione Europea ad avere ancora l'ergastolo. In tutti gli altri paesi europei l'ergastolo normale e quello ostativo sono stati abrogati già da da tempo.
L'Italia è contro la pena di morte ma comunque con l'ergastolo ostativo uccide indirettamente perché tenere una persona in quelle condizioni per sempre e senza nessuna prospettiva di uscire è un'istigazione al suicidio. Infatti tantissimi ergastolani ostativi si suicidano tutti i giorni (ma la televisione queste notizie non le da).
In questo blog ci sono raccolte le testimonianze degli ergastolani ostativi. Con linguaggio semplice gli ergastolani hanno scritto raccontando a quali trattamenti disumani sono ogni giorno sottoposti.

E’ vero che gli ergastolani ostativi hanno commesso crimini 30/40 anni fa ma hanno diritto ad una seconda possibilità:
“Nessuno uccida la speranza, neppure del più feroce assassino, perché ogni uomo è una infinita possibilità!” (D. M. Turoldo)

La Comunità “Papa Giovanni XXIII”, fondata da don Oreste Benzi, propone l’abolizione dell’ergastolo ostativo, pena che non permette alcun beneficio né reinserimento sociale al detenuto, escludendolo così – si legge in un comunicato diffuso dall’associazione – “da qualsiasi speranza di cambiamento”.
La Comunità – si legge nel comunicato – promuove e sostiene questa petizione “affinché ogni detenuto possa avere la possibilità di dimostrare il proprio cambiamento e possa svolgere un progetto personalizzato che gli dia la possibilità di essere reinserito nella società”. Secondo la comunità, l’ergastolo ostativo senza benefici è “incostituzionale perché l’art. 27 della nostra Costituzione recita: ‘le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”. “Noi crediamo – scrive Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità e successore di Don Benzi – che rieducazione contiene in sé il principio di reinserimento sociale delle persona. Senza reinserimento non c’è rieducazione”.
Il successore di Don Oreste, Paolo Ramonda in carcere a Spoleto nel mese di maggio 2009 ha detto: “L’ergastolo ostativo è come una condanna a morte, non prevede alcun beneficio, sconto, né permesso, niente. Il detenuto non è la sua pena, le pene devono tendere alla rieducazione del condannato (come invece prevede l’art. 27 della costituzione Italiana). Non si tratta di evitare le pene, né di dare facili regali e neppure di fare finta che non abbiano commesso reati pesantissimi. Ma bisogna garantire senza buonismi, il recupero di chi ha sbagliato. Chi è in carcere deve pagare il proprio debito, ma avere il diritto di riabilitarsi. Ci dobbiamo chiedere: . Come può essere (ri)educante un carcere che non farà mai uscire una persona? Come si può essere stimolati al pentimento e al cambiamento di vita senza la speranza di uscire?”

Anche il Card. Tettamanzi durante la messa di Natale 2008 al carcere "Opera" a Milano ha detto:
"E' proprio vero che l'ergastolo toglie la speranza. E’ un appello legittimo e allora questo appello lo leggo come un desiderio, una volontà del detenuto, che ha commesso anche delitti efferati, di rientrare nella società e di restituire alla società quello che ha rubato'".
Il Card. Sepe in visita a Poggioreale ha affermato: "Nessun uomo è condannato a vita e tutti devono avere la possibilità di redimersi”.


Grazie per avermi ascoltata.

Mita


Vi trasmetto, una cosa scritta da uno dei miei amici ergastolani. Buona lettura


Nessun ergastolano ostativo percorrerà MAI quel lungo corridoio che porta alla libertà. Il nostro destino è la sofferenza infinita, il buio. Ci sono diversi modi per uccidere qualcuno, il più umano è quello rapido, senza far soffrire la vittima. Quello disumano è gioire della lenta e sofferente morte altrui. E’ in quest’ultimo modo che noi veniamo uccisi, lentamente, tutti i giorni. Non possiamo meravigliarci. Discendiamo da un’antica cultura dove gli uomini venivano inchiodati su una croce e lasciati a marcire lentamente. Ma anche in quella orribile cultura romana c’era sempre qualche soldato che aveva pietà di quegli esseri in croce e, per alleviare il loro dolore, li colpiva con una mazza alle gambe rompendogliele, in questo modo accelerava la loro morte. Oggi si è persa anche questa BARBARA UMANITA’, e noi veniamo lasciati inchiodati alla croce, a marcire lentamente come medicina per soddisfare il basso istinto del popolo. Non possiamo essere per sempre il para-fulmine dell’insoddisfazione di una società che si avvia al declino più assoluto. Non siamo eterni, anche noi, per fortuna, giungeremo all’ultimo respiro. Con chi ve la prenderete dopo? Forse queste sono parole dure o forse non è altro che la cruda verità. Comunque sia, l’Italia ha un problema e, questo problema non siamo noi, ma voi. Se lascerete che la sete di vendetta offuschi quel lato umano che tutti possediamo, allora gioite pure per questi uomini che vengono lasciati in croce, perché è l’Italia che meritiamo. E prevale in voi il lato umano, allora date quel colpo di mazza sulle nostre gambe e chiedete allo stato la pena di morte. Se a quel lato umano si aggiunge un senso di civiltà, allora aiutateci a fare in modo che l’Italia torni ad essere un paese civile e abolisca l’ergastolo. Non ci non altre alternative: BARBARA UMANITA’ o UMANITA’ CIVILE. Scegliete! In un modo o in un altro, tirateci giù dalla croce.

di Alfredo Sole, carcere di Opera, Milano (ergastolano ostativo da più di 20 anni)


"Nessuno uccida la speranza, neppure del più feroce assassino, perché ogni uomo è una infinita possibilità!" (D. M. Turoldo)

CASA BPOUND - ANCORA UN'ALTRO ARRESTO

L'articolo è stato pubblicato un pò di giorni fa. E' desolante vedere che l'unico linguaggio conosciuto da questi fascisti del terzo millennio sia la violenza. I loro padri, che ora gestiscono importanti posti di potere, insegnano. Ma i padri li abbiamo anche noi è il loro insegnamento è stato quello di ripudiare e respingere qualunque forma di fascismo. Il motto continuerà ad essere sempre quello: ORA E SEMPRE RESISTENZA

Lo studente riconosce due del branco. In mille al corteo antifascista

Ne ha riconosciuti due. Due aggressori su sei. Uno, il leader di CasaPound Giuseppe Savuto, 22 anni, è indagato per lesioni gravi con tre informative della Digos inviate in Procura dopo aver ascoltato altri testimoni che hanno assistito all´aggressione di martedì. «Giuseppe Savuto - racconta Francesco Traetta, bloccato su un divano con una costola fratturata - è il leader di CasaPound. L´ho riconosciuto subito.
L´altro si chiama Silvio. Frequentava il mio stesso liceo ma gli amici mi dicono che avrebbe chiesto il nulla osta per cambiare istituto. Erano nel branco che mi ha picchiato martedì con calci e pugni mentre uscivo dal Margherita di Savoia. Grandi e grossi, indossavano abiti neri e verdi, alcuni di loro con le teste rasate». È sdraiato sul divano, Francesco.
Sul divano dell´appartamento nell´antico borgo del Casale di Posillipo in cui abita con il padre pompiere, Luigi, la madre inglese Lisa, docente universitaria, il fratello maggiore Gabriel. Una casa piena di libri. Una famiglia unita, perbene, con due figli cresciuti con un´educazione che mescola la cultura italiana e la tradizione anglosassone. Nella piccola ma accogliente abitazione, al piano terra del borgo del Casale, alcuni amici cucinano gli spaghetti e preparano tartine.
«Mi hanno aggredito - spiega Francesco - perché ho organizzato nel mio istituto, d´intesa con il preside, un incontro con sei esponenti dell´Associazione partigiani. Una colpa grave per quei fascisti di CasaPound che vorrebbero cancellare la memoria del nostro paese e che tutti hanno visto nei giorni scorsi affacciati all´ex convento mentre ostentavano il saluto romano. Gente arrivata da diversi angoli della Campania. Fascisti e picchiatori, una feccia che vorrebbe inquinare il quartiere di Materdei. Ma se credevano di intimidirmi si sbagliano. Mi alzerò da questo divano ancora più convinto delle mie idee». Francesco deve rimanere quindici giorni immobilizzato. «Poi dovranno visitarmi».
Una prognosi di trenta giorni. Per lui hanno manifestato in mattinata a Materdei mille studenti di diversi licei che hanno aderito all´assemblea e al corteo organizzato della "Rete antirazzista e antifascista napoletana". In mille in corteo, con un grande striscione. Un messaggio a CasaPound: "Jatevenne". Sgomberare CasaPound è la parola d´ordine. Da Alessandro del liceo Genovesi a Davide della "Rete".
In piazza anche i consiglieri comunali Francesco Minisci (Sinistra) e Francesco Nicodemo (Pd) che a Palazzo San Giacomo avevano ricevuto assieme al sindaco una delegazione di studenti e dove la Iervolino aveva ribadito: «Nessun atto di violenza, da destra o da sinistra, è ammissibile. Continueremo a lavorare per raggiungere un clima di reciproco rispetto. Tutto ciò in coerenza con la realizzazione dei valori antifascisti che la Costituzione esprime e ai quali l´amministrazione si è sempre ispirata e intende ispirarsi».
Mentre il consigliere comunale Pdl Luciano Schifone invita a «non alimentare odio». Mille in corteo. Anche tanta gente di Materdei, tra loro Luciano Perna dell´associazione Cires: «Il nostro è un quartiere civile. Non abbiamo bisogno di fascisti che sbarcano con la pretesa di inquinare la nostra storia antifascista».

da Indymedia

VITTORIO FELTRI E IL BUSTO DI MUSSOLINI NEL SUO UFFICIO



Non solo veleni

Geneviève Makaping è una giornalista e antropologa camerunese. Vive in Italia dal 1988.

“Per quanto riguarda la fascia ionica e tirrenica cosentina, vi prometto un mare da bere”. Così parlò Gerardo Mario Oliverio, presidente della provincia di Cosenza, all’inizio della sua prima legislatura cinque anni fa. “Il mare da bere” è diventato lo slogan di un progetto politico importante. I cittadini si sono spellati le mani a forza di applausi. Pescatori, albergatori, tour operator, turisti, bambini e vecchi hanno osannato l’iniziativa.

Intanto le fognature dei paesi a monte riversavano il loro carico dal colore inequivocabile sulla spiaggia e nel mare. I depuratori non hanno mai funzionato nonostante lo stanziamento di decine di milioni di euro. Poi è cominciata un’inchiesta della magistratura. Si è scoperto che il mare era amaro, schiumoso, strano. L’opposizione voleva la testa del presidente su un vassoio d’argento. Sono arrivati anche quelli di Striscia la notizia. Sono andati a offrire un bel bicchiere d’acqua del mare che bagna le coste di Amantea, Cetraro e Paola al presidente Oliverio. Lui schifato si è rifiutato di bere. Poi il colore blu cupo e gli odori nauseabondi sono stati dimenticati rapidamente.

Nell’agosto del 2009 un altro fulmine si è abbattuto sulla testa dei calabresi. Si sapeva della presenza di una nave dei veleni nel Tirreno. La stampa locale aveva provato a parlarne: era stata derisa e gli amministratori locali avevano minacciato querele. Poi sulla costa tirrenica sono arrivate la stampa nazionale e quella internazionale e hanno parlato di queste navi che sputano veleno nelle acque dello Ionio e del Mediterraneo. Inquinano senza pudore. Secondo alcuni scienziati, ci vorranno secoli per smaltire tutta le sostanze letali. Nel frattempo il pesce mangia il veleno e l’uomo mangia il pesce avvelenato.

A Paola c’è un magistrato, Bruno Giordano, il capo della procura, determinato ad andare fino in fondo e vederci chiaro. Altri magistrati e l’onorevole Angela Napoli della commissione nazionale antimafia chiedono alle istituzioni di proteggere Giordano. All’interno di quelle navi maledette sembra che ci siano delle sagome che somigliano a degli essere umani. Morti bianche o lupare bianche?

Povera Calabria
E i calabresi? Nella redazione televisiva di Metrosat, dove lavoro, arrivano in continuazione telefonate di cosentini che vogliono sapere “se è tutto vero”. Dicono che sono incazzati e disperati. Che non hanno più la forza e non sanno con chi prendersela. Alcuni chiedono che il governo venga da Roma a riprendersi queste schifezze visto che se fosse successo nel nord Italia si sarebbe già trovata una soluzione.

Nessuno però parla di mafia né di ’ndrangheta. Chi ha ancora un po’ di senso dell’umorismo si chiede: “Ma è vero che siamo tutti ammorbati?”. E molti ripetono una frase che sento dire da trent’anni, ogni volta che ci si trova in una condizione di totale impotenza: “Povera Calabria!”.

Intanto ai piedi del monte Pollino c’è una piccola cittadina profumata: Saracena, la capitale del vino moscato. È il primo comune della Calabria per la raccolta differenziata dei rifiuti: 64 per cento. Entro la fine dell’anno raggiungerà il 70 per cento. Il sindaco Mario Albino Gagliardi ha dichiarato che entro dicembre del 2010 si passerà dalla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani alla tariffa di igiene ambientale, un sistema di calcolo delle imposte basato non sulle dimensioni della superficie abitativa, ma sulla valutazione di una serie di dati che comprendono anche la qualità della raccolta differenziata fatta da ogni abitante.

Insomma in una Calabria che quest’estate ha sepolto sei persone per malasanità, dove si parla di circa cinquantacinque navi affondate con carichi letali, c’è ancora un paesino che si ostina a pensare che è meglio essere puliti. Geneviève Makaping

da Internazionale

Dobbiamo far rinascere una speranza a sinistra


Sinistra e Libertà non può essere soffocata. Deve vivere, crescere, rendersi autonoma. Per questo bisogna costituire entro dicembre il nuovo soggetto politico della sinistra con un congresso costituente, aperto, unitario e partecipato.

La spinta diffusa nella società italiana, evidenziata dall’opposizione al governo Berlusconi che richiede un protagonismo della sinistra, impone di darci strumenti adeguati a rappresentare questa esigenza.

Mentre il paese marcisce nelle lotte di potere estranee agli interessi reali del popolo italiano non ci possiamo più permettere di indugiare in alcuna forma di di politicismo.

Sinistra e Libertà non può essere soffocata. Deve vivere, crescere, rendersi autonoma. Per questo bisogna costituire entro dicembre il nuovo soggetto politico della sinistra con un congresso costituente, aperto, unitario e partecipato.

Dobbiamo far rinascere una speranza a sinistra.


Nichi Vendola