La multinazionale ango-olandese è alla sbarra a New York con l'accusa di aver attivamente collaborato con la dittatura nigeriana per l'uccisione del poeta Ken Saro Wiwa nel 1995. Shell cerca un compromesso che eviti il processo in aula.
Mentre nel Delta del Niger si combatte per il petrolio, è iniziata mercoledì a New York la selezione della giuria per l’azione civile contro il consorzio petrolifero Royal Dutch Shell, anche se l’udienza del processo vero e proprio è stata rinviata alla prossima settimana.
Era fissata per oggi a New York la prima udienza del processo contro la società petrolifera anglo-olandese Royal Dutch Shell accusata di violazione dei diritti umani. Il giudice Kimba Wood, che presiede il Tribunale Distrettuale di Manhattan, secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa Prensa Latina, ha ricordato che la società sarà sottoposta a procedimento penale per presunta complicità nell’uccisione di Ken Saro Wiwa, poeta nigeriano e attivista per i diritti del popolo Ogoni, impiccato nel 1995 dopo un processo farsa davanti a un tribunale del regime militare nigeriano di Sani Abacha. Avvocati e testimoni affermano che i dirigenti delle multinazionali cospirarono in combutta con il governo militare nigeriano per far tacere Saro Wiwa, la cui attività politica danneggiava i profitti e l’immagine della Shell. La Royal Dutch Shell, attraverso la sua affiliata in Nigeria, la Shell Transport & Trading, è accusata di istigazione alla tortura e complicità nella morte di Ken Saro Wiwa e di altri otto militanti del Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni (Mosop).
Saro-Wiwa era un scrittore nigeriano impegnato nella difesa dei diritti degli Ogoni, uno dei popoli della regione del Delta del Niger. Secondo l’accusa, il processo nel quale Saro Wiwa è stato dichiarato colpevole non è stato equo perché all’imputato sono state negate garanzie processuali essenziali, come il diritto alla difesa o il ricorso in appello.
Il processo di Manhattan nasce sulla base di due leggi americane, l’Alien Tort Statute e la Legge per la Protezione delle Vittime della Tortura, che consente ai cittadini stranieri di denunciare negli Usa violazioni dei diritti umani compiute in altri paesi.
Per mercoledì a Manhattan in Foley Square erano previste manifestazioni di sostegno al processo da parte di diverse organizzazioni per la difesa dei diritti umani e dei diritti civili. «E’ possibile che oggi il processo venga rinviato – hanno detto i manifestanti – Forse perché la Shell sta tentando una soluzione per mantenere la questione fuori dai tribunali, o perché il giudice ha richiesto un supplemento di inchiesta per esaminare le prove e le procedure e scegliere la giuria. In entrambi i casi il momento è cruciale e manterremo alto il livello di attenzione. Dobbiamo mantenere la pressione sulla Shell e mantenere i riflettori accesi sulla connessione tra petrolio,oppressione e degrado ambientale che deve fronteggiare il popolo del delta del Niger».
Secondo le prime indiscrezioni e le fonti citate dal sito nigeriano Saharareporters, la Shell, temendo una enorme pubblicità negativa che arriverebbe dal processo, è seriamente intenzionata ad arrivare ad una risoluzione extragiudiziale. Di segno esattamente contrario, invece, la pressione che viene sia dalle organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani che dallo stesso Mosop, il movimento in cui militava Saro Wiwa. Il processo alla Shell, infatti, oltre alle ricadute in Nigeria e in particolare nella regione del Delta, sarebbe un precedente storico. In caso di condanna – peraltro probabile – sarebbe la prima volta che una multinazionale deve rispondere per violazioni dei diritti umani. Un precedente «pericolosissimo» per molti colossi dell’economia mondiale, soprattutto quelli che fanno affari con governi autoritari o corrotti. Sarebbe però anche una tegola sulla credibilità delle multinazionali petrolifere che operano nel Delta del Niger, che hanno sempre ridotto l’opposizione politica dei popoli del Delta e dei gruppi armati che stanno paralizzando l’industria estrattiva nigeriana a una questione di «criminalità comune».
Edo Dominici
[28 Maggio 2009]
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