Avanza, inesorabile. Minacciosa. Nella serata di ieri era già arrivata nel parmense. Nei prossimi giorni, se non si riuscirà a fare qualcosa, potrebbe arrivare a Ferrara. Da lì al delta del Po, e poi all'Adriatico, è un attimo. L'onda nera del Lambro sembra non avere trovare argini in grado di fermarla. Da martedì mattina, quando è partita da Monza, ha percorso chilometri, lasciando dietro di sé una scia di desolazione: animali morti, campi invasi da liquidi puzzolenti, macchie nere sulle sponde.
Ormai sono tutti concordi nel dire che è un disastro di proporzioni colossali. Qualcuno azzarda secondo solo a Seveso.
Ieri il ministro dell'ambiente Stefania Prestigiacomo ha sorvolato la zona. Tornata a Roma, ha detto che lunedì in consiglio dei ministri, «forse», si discuterà dell'emergenza. E, sempre «forse», verranno immediatamente stanziate «ingenti somme» per far fronte alla situazione. Intanto Lombardia, Emilia Romagna e Veneto hanno chiesto lo stato di calamità. I sindaci dei vari paesi che si affacciano lungo il fiume stanno emettendo un'ordinanza dietro l'altra per impedire la pesca, la balneazione e altre attività nel fiume. E, visto che dove c'è un'emergenza non può mancare, ieri si è fatto vedere anche il sottosegretario Guido Bertolaso. Nel pomeriggio ha partecipato a un vertice in prefettura a Piacenza. Alla fine la decisione: la creazione di una cabina di regia per organizzare i lavori. L'obiettivo, fermare la marea nera prima che arrivi all'Adriatico. L'idea è di fermarla presso la centrale Enel di Isola Serafini, in provincia di Piacenza. Peccato che a questa situazione, emergenziale, si sia arrivati a oltre settantadue ore dal disastro. Con una celerità tutta italica. Che ha già fatto storcere il naso a più di uno. Tra i presenti al vertice si è iniziato a parlare apertamente di sottovalutazione iniziale del problema. Addirittura il presidente della Provincia di Lodi, il leghista Pietro Foroni, attacca i suoi colleghi: «Ci hanno avvisato, e solo nel pomeriggio, di uno sversamento di petrolio nel Lambro, non di un disastro», accusa. Le prefetture, lasciate colpevolmente senza nessun tipo di coordinamento, hanno fatto ognuna per conto proprio. Le conseguenze, purtroppo, si sono viste tutte: chi lavorava in un punto del fiume non sapeva quello che si stava facendo a pochi chilometri di distanza, con conseguenti incapacità di agire per il meglio.
Intanto la procura di Monza, che ha aperto un fascicolo sulla vicenda, continua le indagini. L'accusa, nei confronti degli ignoti che nella notte si sono infiltrati nella ex raffineria di Villasanta, vicino a Monza, e hanno rovesciato i 2.500 metri cubi di gasolio nel fiume, è di disastro ambientale e avvelenamento delle acque. Ma l'attenzione degli inquirenti è tutta incentrata sul perché del gesto. Sull'area della ex raffineria grava un progetto di maxi speculazione edilizia. Un progetto faraonico, da mezzo miliardo di euro, per la realizzazione di una cittadella ecosostenibile. Ecocity si chiamerà. La prima area, industriale è già stata realizzata. A breve dovrebbe partire la seconda tranche dei lavori, che interesserà un'area di circa 36mila metri quadrati. Entro due anni, le ultime opere: appartamenti, negozi, capannoni industriali, un'area direzionale. Tutto realizzato da un'unica ditta, la holding Addamiano Engineering di Nova Milanese, vicino al capoluogo lombardo, di proprietà della famiglia Addamiano. I tre fratelli alla guida della holding saranno sentiti nei prossimi giorni dagli investigatori. La loro è una famiglia abituata a accaparrarsi appalti per grandi opere. Da nord a sud, negli ultimi anni hanno disseminato l'Italia con interi quartieri ecosostenibili. L'ultimo dovrebbe sorgere proprio lì, a pochi metri da dove il sottosuolo, ormai da tre giorni, è saturo di petrolio. La domanda che si pongono gli inquirenti è questa: a chi giova tutto quanto è accaduto? Il progetto, negli ultimi tempi, aveva segnato il passo, anche a causa della scarsa liquidità degli Addamiano. Qualcuno ipotizza che si tratti di un avvertimento mafioso. Altri accusano, tra le righe, i dipendenti della vecchia azienda, lasciati a casa senza lavoro. La pista più probabile, su cui si indaga, tocca il sottobosco dei subappalti, per capire chi ci poteva guadagnare da un disastro simile.
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