Gabriella Kuruvilla è una scrittrice italoindiana. È nata a Milano nel 1969.
Un tempo le panchine erano fatte per sedersi e, volendo, anche per sdraiarsi. Ora ci si può solo sedere. E per un periodo sempre più breve, che non somiglia a una sosta, ma solo a una pausa il più breve possibile.
Alla fine degli anni novanta il sindaco di Treviso Giancarlo Gentilini decise di rimuovere le panchine dalla città per impedire a immigrati e barboni di dormirci sopra. L’idea, che fu realizzata immediatamente, fu copiata anche a Trieste.
Questa politica, riassumibile con lo slogan “via il dente, via il dolore” – o, meglio, “via la panchina, via l’immigrato e il barbone” – è stata ripresa e rielaborata da diversi politici. Pochi mesi fa l’assessore alle politiche ambientali del comune di Roma, Fabio De Lillo, ha annunciato un nuovo prototipo di panchine antibivacco. Il modello, per ora solo reclamizzato, avrebbe un bracciolo al centro della seduta che rende impossibile sdraiarsi.
A dire il vero, la panchina antibivacco non è una novità. Un modello simile è già stato adottato a Verona dal sindaco leghista Flavio Tosi. E basta frequentare i pochi e piccoli spazi verdi di Milano per rendersi conto che queste panchine, installate con meno clamore ma con lo stesso obiettivo, ormai si trovano un po’ ovunque. Anche dove uno meno se lo aspetta.
Un po’ di tempo fa sono scesa alla stazione Garibaldi della metropolitana milanese. Qui le panchine non ci sono mai state: c’erano solo delle semplici panche appoggiate alle pareti. Ora non ci sono più. Grazie a un suggestivo restyling sono state sostituite con divertenti sedili in metallo giallo, rosso, blu, viola e verde di forma quadrata e di piccole dimensioni.
Su queste installazioni artistiche anche appoggiare la schiena risulta difficile.
La frenesia non prevede soste. La pausa, invece, è scomoda. Ma allegra e colorata. Da vedere, più che da vivere. Il risultato ideale per un mondo dove l’importante è l’apparenza. Gabriella Kuruvilla
da Internazionale
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