Manca tutto nell'isola caraibica. Nel frattempo arrivano le testimonianze di chi ha vissuto in prima persona il terremoto
"Urla, urla e urla ancora. Questo ricordo dei minuti successivi alla prima scossa, la più forte, di sicuro quella maggiormente avvertita dalla popolazione" racconta Etienne Kidorsè, haitiano 40 anni di professione autista (quando capita). "Ero per strada al momento della prima scossa, nel quartiere di Petion Ville. Stavo versando dell'acqua in un bicchiere di plastica. Il primo bicchiere l'ho bevuto con tranquillità.
Poi l'ho riempito nuovamente e l'ho portato alla bocca. E' stato in quel preciso istante che tutto intono a me ha iniziato a tremare, a traballare. Io stesso sono stato scosso, quasi spintonato dalla potenza della scossa. L'acqua mi si è rovesciata addosso. Il rumore era forte, non saprei descrivere se assomigliasse a qualcosa che conoscevo. La prima scossa è durata a lungo. Secondi che mi hanno paralizzato sul marciapiede dove mi trovavo. Non ho saputo cosa fare. Avevo paura e il mio unico pensiero è corso verso mi moglie Jakie e nostro figlio Sam. Ho avuto paura, molta paura. Non avevo mai provato una sensazione simile".
Etienne racconta poi le difficoltà di raggiungere la sua casa che si trova non distante dallo stradone principale che porta verso la bidonville di Citè Soleil. "Nessuno può immaginare il silenzio abbattutosi su Port au Prince subito dopo la fine della prima scossa. Un silenzio irreale, durato sette massimo otto secondi. Pochi ma sembravano un'eternità. Non ne sono sicuro ma credo si aver sentito lo spostamento d'aria di un albero che si trovava a una quindicina di metri da me. Credo di aver sentito il vento provocato dai suoi rami. Subito dopo mi sono messo in cammino per raggiungere la mia casa".
La cosa più sconvolgente secondo il racconto di Etienne, avvenuto in circostanze davvero fortunate considerando che le comunicazioni con Haiti sono ancora praticamente impossibili, è stata la reazione della popolazione che ha "iniziato a uscire dalla case, dalle baracche semidistrutte e gridava, urlava, pregava. Anche adesso la gente sta pregando. E' l'unica cosa che si sente in città.
Il terribile sisma, oltre trenta scosse in poche ore, ha raso al suolo la capitale Port au Prince. Meglio è andata anche sembra difficile immaginarlo alle baraccopoli abbarbicate sulle colline intorno alla città. In queste aree vive la frangia di popolazione più povera. Ma durante la costruzione degli edifici è stato utilizzato molto cemento e forse per questo parzialmente le costruzioni hanno retto.
"Ciò che serve di più in questo momento, oltre a tanta solidarietà sono medicinali di prima necessità. Ma ciò che è davvero indispensabile è l'organizzazione degli aiuti" racconta Massimo Agosti neonatologo della Fondazione Rava appena rientrato da Port au Prince dopo un breve soggiorno per dare una mano ai bambini meno fortunati.
Port au Prince era una città in grave agonia fino all'atro ieri. Oggi è una città morta.
di Alessandro Grandi da PeaceReporter
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