Dopo aver praticamente ma non in toto gettato la maschera la destra continua con il suo processo lento e paziente di infiltrazione e legittimazione a tutto campo. E dopo aver finanziato i CSOA di estrema destra come Casa Pound e Gens Romana, aver apposto il logo capitolino a iniziative sedicenti onlus a cui viene destinato anche l'otto per mille, fra cui quella patrocinata da Mambro & c. dal nome accattivante SPQR per i bambini più disagiati, il Comune di Roma nella persona di Alemanno e la Provincia in quella di Zingaretti dovrebbero rispondere sulla legalità di quel progetto umanitario "Popoli" ormai presente anche nelle nostre piazze, abituato a mimetizzarsi dietro frasi d'effetto e attività filantropiche non a fini di lucro. Ma da definirsi truffa morale a danno della gente che le si avvicina magari ignara di tutto questo retroscena inquietante e fuori ogni contesto di legalità.
Dovremmo chiedere spiegazioni visto che dietro queste onlus si nascondono ma né fanno gran mistero personaggi dal curriculum eversivo di estrema destra, indiziati di golpismo fascista in Paesi stranieri, come le Comore, la Birmania e il Congo, in un'internazionale nera che vede reclutare mercnari in una guerra che di umanitario, come sempre in questi casi non ha niente.
A titolo di cronaca ed informativo si illustrano alcuni dettagli ed articoli sull'organizzazione fascista ed evesriva POPOLI:
Da carpe-diem, così, a caso:
In Paradiso, nel Whaalla, con gli Dei, insieme a tutti i Martiri e i Caduti per l'Onore d'Italia
I Camerati
Segue elenco di neofascisti morti ammazzati.
Possiamo trovare, tra le tante, immagini “né di destra né di sinistra” di:
mussolini, bandiera di combattimento della RSI, legione straniera spagnola, jose antonio primo de rivera (fondatore della falange spagnola)
Possiamo ascoltare anche buona musica, tra cui:
preghiera del legionario, inno dei giovani fascisti italiani, giovinezza, decima!, sangue e onore
Oppure dilettarci nella lettura di testi. Ad esempio:
la dottrina del fascismo di tal benito mussolini, considerazioni sulla tradizione, breve storia della folgore, Evola, Leon Degrelle
Verona ospita la base dei signori della guerra da esportazione per poi sviluppare investimenti turistici in un piccolo paradiso naturale che è anche un inferno di povertà.
E il veronese Franco Nerozzi, 40 anni, giornalista free lance, volontario dell’associazione «Popoli» e da ieri agli arresti domiciliari, è considerato dalla polizia uno specialista in colpi di stato attraverso il reclutamento di mercenari. Punta i riflettori su questo oscuro mondo d’affari e di morte l’inchiesta della Procura che ieri è approdata ad una quindicina di perquisizioni in tutta Italia (la maggior parte a Verona) e all’arresto, oltre che di Nerozzi, anche di un cittadino di origini croate, Fabio Leva, 42 anni, nato a Lussimpiccolo e abitante a Muggia in provincia di Trieste.
Sullo sfondo di un imponente lavoro di intercettazioni telefoniche, di pedinamenti e di controlli con i contatti francesi, c’è la preparazione di un golpe alle isole Comore, a largo del Mozambico, un Paese poverissimo nel quale, negli ultimi venticinque anni, sono stati tentati o portati a termine diciannove colpi di stato. Tra i registi di questo progetto, gli investigatori della Digos che hanno condotto l’indagine, coordinata dal procuratore Guido Papalia, individuano un altro personaggio del romanzesco e violento mondo dei mercenari: l’uomo d’affari francese Bob Denard, considerato il mandante per l’operazione Comore perché in quel Paese lui ha una serie di investimenti bloccata dall’attuale governo del presidente Azzali Assoumani, in sella dal 1999 nonostante uno dei numerosi gruppi avversari abbiano tentato ancora una volta di roversciarlo nella primavera scorsa.
I controlli hanno portato gli investigatori della Digos anche a casa di Carlo Nerozzi, fratello di Franco, presidente della Veronamercato e imprenditore di successo, personaggio pubblico molto conosciuto. Nell’indagine entrano sette veronesi e nella lista degli indagati c’è Giulio Spiazzi, figlio del generale Amos, anche lui vicino all’associazione «Popoli». Cadono tutti dalle nuvole, c’è chi dice che l’attività svolta è solo umanitaria o di studio per la realizzazione di reportage. Ma la Procura non la pensa così, anche se non ritiene che tutti gli associati di «Popoli» vadano considerati collusi con queste operazioni militari. Per esempio, l’indagine sta accertando quale sia stato uno degli scopi della recente missione in Birmania nei primi giorni dello scorso settembre, quando il gruppo di una decina di volontari fu arrestato. In quell’occasione, gli otto medici al seguito di Franco Nerozzi non sapevano nulla di contatti con i guerriglieri e si dedicarono solo alle cure degli ammalati o dei feriti della popolazione Karen, da anni in forte contrapposizione con il governo birmano.
Ed anche su questa missione, ieri, gli investigatori della Digos hanno raccolto documentazione fotografica nelle case degli indagati. In alcuni scatti Nerozzi è vicino a mitragliatori, poi ci sono le fotografie di granate e mortai ed anche di campi d’addestramento di guerriglieri. È tutto materiale che solitamente un giornalista conserva dopo i viaggi in Paesi martoriati dai conflitti, ma l’indagine riserva altri atti, per il momento ancora coperti dal segreto istruttorio, tra i quali si consolida la convinzione della Procura e del giudice per le indagini preliminari Stefano Sernia che ha emesso le ordinanze di custodia cautelare.
A Franco Nerozzi e a Fabio Leva è contestato il fatto di aver costituito un’associazione con lo scopo di violare la legge che punisce il terrorismo internazionale e il sovvertimento degli ordinamenti democratici e la norma sul divieto di reclutare mercenari per combattimenti all’estero. Il primo reato è lo stesso contestato agli organizzatori degli attentati dell’11 settembre perché introdotta proprio dopo gli attacchi a New York e Washington.
Bob Denard invece non è nella lista degli indagati dalla Procura di Verona e su di lui, recentemente assolto a Parigi dall’accusa di essere il mandante dell’uccisione del penultimo presidente delle Comore, pende una procedura di rogatoria internazionale.
Il prossimo passo dell’inchiesta sarà verso i finanziamenti ricevuti da Franco Nerozzi per le sue missioni. Se lo scopo di certi viaggi era preparare il terreno per un golpe che a sua volta avrebbe spianato la strada a floridi affari, chi ha consegnato soldi per queste operazioni non dormirà sonni tranquilli. Gli investigatori credono che la barriera corallina delle Comore, il clima e la possibilità di far arrivare il turismo di massa anche in quell’angolo di mondo politicamente instabile sia un motivo più che sufficiente per scatenare l’ennesimo massacro di povera gente.
Franco Nerozzi sarà interrogato nei prossimi giorni dal giudice Sernia. Ieri ha nominato come suo difensore l’avvocato Paolo Tebaldi. Anche altri indagati hanno scelto i legali. L’avvocato Roberto Bussinello assiste Giulio Spiazzi, Enrico Bastianello è stato invece nominato difensore da un giovane che vive in Valpolicella e che partecipò ad alcune missioni di «Popoli».
L’inchiesta è nata l’anno scorso quasi per caso. Durante alcuni controlli sui possibili autori di scritte antisemite davanti alla Sinagoga, un’intercettazione telefonica portò il dirigente Fernando Malfatti e gli investigatori della Digos sulla pista del reclutamento di mercenari. Ieri, il dottor Alessandro Meneghini, nominato recentemente a capo della Digos, ha spiegato che il fascicolo dell’inchiesta è pieno di documenti.
Le guerre del pensionato Leva in un articolo del 1968
E il maggiore disse al soldato «Avrò ancora bisogno di te»
di Luigi Grimaldi
Nel 1968 lasciò l’«Armée congolaise» perché voleva dedicarsi alla tenuta in Spagna comprata con i soldi guadagnati durante le guerre africane con i salari da mercenario. Ma il suo capo, il maggiore Schramme, gli disse: «Non è finita qui. Avremo ancora bisogno di te». È un pezzo della storia di Fabio Leva, anche lui agli arresti domiciliari per l’inchiesta sul progetto di golpe alle Comore. La sua vita fino al 1968 è riportata in un articolo del quotidiano Il piccolo di Trieste che lo descrisse come un soldato di ventura. È un pezzo giornalistico indicato negli atti dell’inchiesta del procuratore Guido Papalia.
In quell’articolo si parla di Fabio Leva e degli anni tra il 1965 e il 1968 trascorsi in Congo, Paese raggiunto con un volo da Bruxelles come un normale turista che invece andò poi ad affollare le truppe del maggiore Schramme. Sua moglie, Josephine Mukabutera, immortalata con lui in una foto sul giornale, era una ragazza ruandese conosciuta nel 1967 in una missione cattolica. Decise di sposarlo e di seguirlo fino nelle trincee. E, durante un attacco nemico, la donna fu anche ferita.
Sommozzatore, paracadutista e mercenario, Fabio Leva trovò un posto come impiegato all’Ente Porto di Trieste e lì lavorò per oltre vent’anni. Oggi è un pensionato e vive in un appartamento in via Commerciale, dove l’altro ieri gli investigatori della Digos gli hanno perquisito la casa per sequestrare tutto il materiale che potrà essere utile all’inchiesta. Computer, dischetti, agende e numeri di telefono che saranno esaminati per cercare di capire qual è stato il ruolo di Leva nell’affare del tentato golpe alle Comore.
Dalla sua storia passata, documentata sempre dall’articolo de Il Piccolo, emerge che anche all’epoca il mercenario non era un soldato qualunque che, disperato, si arruolava nella legione straniera. C’è scritto: «Fra breve i coniugi Leva si trasferiranno in Spagna dove, per gli uffici di una banca, il denaro che veniva regolarmente depositato, è stato saggiamente amministrato ed investito in beni immobili: oggi, infatti, Fabio Leva è diventato proprietario di una bella tenuta dove, con ogni probabilità, si dedicherà all’allevamento del bestiame».
Il giornale non diede per certa la conclusione della carriera del mercenario, sollevando ipotesi sul possibile ritorno di Leva nel continente nero per un «mal d’Africa» e per un inguaribile spirito di avventura.
Forza Nuova: «Sono innocenti»
Solidarietà al volontario da un noto inviato in zone di guerra
«Assoluta ed incondizionata solidarietà» arriva da Forza Nuova agli indagati e
all’associazione «Popoli» per l’inchiesta sul reclutamento di mercenari. «È un’incredibile azione giudiziaria», è riportato in un documento del movimento di estrema destra, e senza entrare nel merito della vicenda strettamente processuale, che peraltro presenta allo stato lati poco chiari (uno su tutti, indice della spettacolarità dell’azione, la stampa avvertita dell’arresto di un indagato ore prima dell’esecuzione dell’ordinanza), Forza Nuova ritiene che la presente operazione sia l’ennesimo tentativo della Procura di Verona destinato a colpire organizzazioni non incanalate nella logica perversa della globalizzazione e del mondialismo». Il movimento difende anche le iniziative dell’associazione «Popoli» ritenendo che siano state orientate «alla difesa a favore delle genti o delle etnie che lottano per il mantenimento della propria identità».
«Forza Nuova» conclude il documento, «è assolutamente convinta dell’estraneità degli indagati ai fatti ed auspica che, quanto prima, venga accertata la verità, dimostrando l’assoluta inconsistenza del teorema accusatorio, così come è già avvenuto in altri processi veronesi relativi alla repressione delle idee e dei pensieri, attuata con l’uso indiscriminato del cosiddetto decreto Mancino».
Solidarietà personale a Franco Nerozzi è invece espressa da Ugo Tramballi, inviato speciale per gli affari internazionali del quotidiano Sole 24 Ore, con una lettera a L’Arena . «Per quanto possa essere inutile», scrive il giornalista, «vorrei esprimere la mia solidarietà personale a Franco Nerozzi. Niente mi lega a lui, dalle convinzioni politiche opposte a quelle calcistiche, ad eccezione di una profonda amicizia. Un legame costruito sul campo esercitando il nostro mestiere di giornalisti, sulle montagne afghane o nelle township nere sudafricane. Qui posso testimoniare che Franco è stato un giornalista appassionato, scrupoloso, solidale. Trovo curioso», continua Tramballi, «che ora sia indagato per i suoi viaggi a scopo umanitario in Birmania insieme ad altre sette persone che erano con lui. In quel gruppo avrei dovuto esserci anch’io: solo la crisi in Medio Oriente mi ha costretto a cambiare destinazione. E sono convinto che se fossi andato con Franco avrei esercitato solo il mio diritto-dovere d’informare».
Anche Giovanni Perez della Fiamma Tricolore esprime solidarietà all’associazione «Popoli» e critica le notizie per «sbattere ancora una volta i mostri in prima pagina».
Infine, scrive anche il presidente dell’associazione «Popoli» Pietro Caruana. «Tengo a precisare che le donazioni ricevute dagli associati o da semplici cittadini interessati alla nostra attività di volontariato, sono correttamente iscritte nel bilancio dell’associazione e vengono utilizzate esclusivamente per gli scopi previsti dallo statuto. Tutte le spese sostenute per le missioni umanitarie vengono registrate nel medesimo bilancio che è a disposizione degli associati». Caruana contesta una frase di un articolo pubblicato su L’Arena che, comunque, non si riferiva ai soldi versati legittimamente per le missioni umanitarie legittime, ma agli eventuali finanziamenti per presunte operazioni illegali teorizzate dall’accusa e ancora da provare davanti ad un tribunale.
La legge 270 per colpire il terrorismo internazionale è entrata in vigore dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 a New York e Washington. Il procuratore Guido Papalia contesta la violazione di questa norma ai due indagati arrestati durante l’inchiesta sul tentato golpe alle Comore, mentre gli altri indagati sono sospettati di aver violato un’altra legge speciale che proibisce di reclutare mercenari per combattimenti all’estero. Questa legge è la numero 210 del 12 maggio 1995 che ratificava una convenzione internazionale adottata all’assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 4 dicembre 1989. La legge prevede la condanna da due a sette anni per chi, dietro compenso, promessa o altra utilità, combatte un conflitto armato nel territorio controllato da uno Stato estero di cui non ne sia cittadino stabilmente residente. Nel caso di questa inchiesta è stato applicato il comma che punisce «chi recluta, finanzia o istruisce persone con lo scopo» di combattere in un territorio straniero.
DA INDYMEDIA ITALIA
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