MODENA – Chi ancora si ostina a chiamarli "lager" si sbaglia. Esiste una nuova generazione di centri di identificazione e espulsione (Cie). Progettati su misura, dotati di servizi e di qualità certificata. Cie a cinque stelle, che allo Stato costano molto caro, ma che da un punto di vista delle condizioni di detenzione sono inattaccabili. Il Cie di Modena è sicuramente uno di questi. Costruito appositamente nel 2002, a fianco del carcere, dall’esterno ha l’aspetto di un albergo. Niente filo spinato, niente mura di cinta.Il colore arancione delle pareti rassicura. All’interno i 6 “moduli abitativi”, come vengono definite le celle, si affacciano sui tre lati di un cortile, a mo’ di ferro di cavallo. Il cortile è diviso in quattro aree da una serie di recinzioni metalliche altre quattro metri. Gabbie che servono a isolare i detenuti di un settore da quelli dell’altro. E gli uomini dalle donne. Ogni modulo ha accesso a una delle aree recintate. Ogni camerata ospita dieci persone. Due sezioni sono dedicate alle donne. In tutto la capacità è di 60 posti. In ogni modulo ci sono quattro camere, due da tre posti, e due da due. E due bagni. Al centro del modulo, una sala pranzo con due tavoli di metallo fissati al pavimento insieme alle panche. In alto, una televisione collegata alla parabola, incastonata nel muro e protetta da un vetro infrangibile.
Ogni detenuto ha diritto a un menù personalizzato, a un kit di indumenti, e a una serie di accessori quotidiani, che gli vengono scalati da un bonus di 2,50 euro che matura per ogni giorno di detenzione. Al primo piano c’è una specie di “banca” dove si aggiorna un registro contabile delle entrate e delle uscite per ogni ospite. A disposizione ci sono sigarette, schede telefoniche, merendine, coca cola, shampoo antiforfora e quant’altro. Il servizio di lavanderia è gratuito. Gli indumenti sono igienizzati e sterilizzati a ogni lavaggio. E poi c’è un servizio di assistenza sociale e medica e la possibilità di ottenere prestazioni specialistiche al policlinico. Tutte attenzioni che “servono a diminuire le tensioni” ripete più volte la direttrice del Cie, Anna Maria Lombardo. Già, perché la qualità della struttura detentiva non cambia la questione di fondo: la privazione della libertà per sei mesi di persone che non hanno commesso nessun reato, e il conflitto sociale che ciò rappresenta. Un conflitto che ogni tanto riesplode anche all'intero dei Cie a cinque stelle. Come lo scorso 17 agosto qui a Modena, quando i detenuti misero a ferro e fuoco il centro per protestare contro l'entrata in vigore del pacchetto sicurezza, che prolungava da due a sei mesi il loro trattenimento.
Dietro la gestione dei Cie da parte dei privati si celano interessi per milioni di euro. La Confraternita di Misericordia di Modena, ad esempio, gestisce il Cie di Modena in convenzione con la Prefettura sin dalla sua apertura, nel 2002. A gennaio 2009 hanno vinto l’ultima gara, valida fino al 2011. Per dovere di cronaca, la Misericordia di Modena è presieduta da un certo Daniele Giovanardi, fratello dell’ex ministro Carlo Giovanardi, oggi deputato dei Popolari Liberali confluiti nel Pdl. Dal 2005 inoltre, la Misericordia di Modena gestisce anche il Cie di Bologna, la cui direttrice è la stessa Anna Maria Lombardo. Ma quanto costa la gestione di tutto questo? Per ogni persona detenuta presso il Cie di Modena, lo Stato paga 75 euro al giorno. È tanto o poco? Tanto, addirittura il triplo della diaria di 26 euro che lo Stato paga al Cie di Crotone. Lombardo si difende dalle facili accuse: “Innanzitutto – dice - c’è una differenza di costo della vita tra il nord e il sud. E poi noi i nostri operatori li teniamo tutti a tempo indeterminato. E poi c’è la qualità del cibo, il kit di ingresso, i servizi, il pocket money. E comunque abbiamo vinto una gara pubblica”. E poi c’è il numero di operatori. In una struttura per 60 detenuti lavorano: 23 operatori sociali, 5 medici, 32 infermieri, 6 mediatori culturali e 4 amministratori. Senza contare i servizi di pulizia e il catering, appaltati a ditte esterne.
Insomma, la seconda generazione dei centri di identificazione e espulsione non soltanto ha alzato gli standard delle condizioni di detenzione, rendendoli di fatto culturalmente accettati e ritenuti necessari al controllo dell'immigrazione, ma ha fatto di più. Li ha resi una ghiotta opportunità per il privato sociale per fare cassa e creare decine di posti di lavoro. Posti di "tecnici", di gente che sicuramente lavora con tanta buona volontà, ma con altrettanta cecità. Utili idioti, mai così utili come in questi tempi di crimini di pace. Scrivevano Franco e Franca Basaglia nel 1975:
“In questi ultimi anni va delineandosi sempre più chiara la compresenza di due tipi di guerra: la guerra imperialista e i movimenti antimperialisti presenti un po’ ovunque nel mondo; e la guerra quotidiana, perpetua, per la quale non sono previsti armistizi: la guerra di pace, con i suoi strumenti di tortura e i suoi crimini, che ci va abituando ad accettare il disordine, la violenza, la crudeltà della guerra come norma della vita di pace.
Ospedali, carceri, manicomi, fabbriche, scuole sono luoghi in cui si attuano e si perpetuano questi crimini in nome dell’ordine e della difesa dell’uomo. Ma l’uomo che si vuole difendere non è l’uomo reale: è ciò che l’uomo deve essere dopo la cura, l’indottrinamento, la distruzione, l’appiattimento delle sue potenzialità, il recupero. È l’uomo scisso, separato, diviso, su cui ha buon gioco questo tipo di manipolazione per il suo totale adattamento a questo ordine sociale che vive sulla criminalizzazione e sul crimine.
Ospedali e farmaci uccidono più di quanto non riescano a curare (una statistica americana ha riconosciuto che l’80% delle medicina serve a curare malattie generate dalla medesima stessa). Le carceri producono più delinquenti di quanti ne entrino. I manicomi fabbricano i malati su misura: cioè costruendo passività, apatia e annientamento personale necessari al controllo e alla conduzione dell’organizzazione ospedaliera. Nelle fabbriche si sfruttano gli operai, costringendoli a condizioni di lavoro nocive e distruttrici, dove le “morti bianche” sono preventivate come un male necessario al progresso dell’uomo. Le scuole continuano a non insegnare e a non svolgere il loro ruolo educativo, eliminando chi non ha “imparato” e non è stato “educato”. Gli studenti che esigono una ristrutturazione dell’insegnamento e una garanzia per il loro futuro, sono accusati di sovvertire l’ordine pubblico; mentre gli studenti universitari sono sempre più scadenti e squalificati, sì che ci saranno, da un lato, posti di lavoro per chi si è preparato all’estero o presso le scuole di specializzazione dell’industria, e dall’altro una nuova ondata di laureati disoccupati e sottoccupati. Mari e fiumi sono inquinati e inaccessibili, perché portano nelle loro acque la morte chimica che le industrie producono, e solo davanti a questa morte generale si progettano spese di miliardi per depuratori e impianti di filtraggio che potevano essere costruiti per prevenirla e non correre ai ripari dopo i funerali.
Tutto questo in nome del bene della comunità, in nome del progresso che darà all’uomo il benessere e la felicità. Ma quale uomo?"
(Franco e Franca Basaglia, Crimini di Pace, 1975)
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