Neofascisti, razzisti, xenofobi ed euroscettici. I sondaggi registrano un vento di destra che spira in tutto il Continente e che si abbatterà dentro le urne alle prossime elezioni. Grazie anche a un astensionismo record.
L'Europa si fa il trucco, con un tocco di nero. I sondaggi dicono che le elezioni del 4-7 giugno saranno un successo continentale per l'estrema destra. Ma non solo, avanza ad ampie falcate anche il partito dello scetticismo verso un'Unione che non è più attraente come un tempo, incapace di sedurre o di presentarsi come un progetto politico forte. Uno scetticismo marcatamente di destra in Gran Bretagna, Polonia, Repubblica Ceca e Finlandia, paladino delle prerogative nazionali di fronte a un processo di integrazione vissuto con fastidio, ma anche uno scetticismo di sinistra, forte in Olanda, Francia, Germania, Grecia e Portogallo, radicalmente critico verso un'Europa sempre più mercato e sempre meno sociale. Altro valore su cui scommettere è quello dell'astensione, destinata ad abbattere il record fatto registrare 5 anni orsono, quando sfiorò il 46 per cento, che potrebbe superare il 60 per cento. "Il populismo è in aumento ovunque", osserva Yves Mény, Presidente dell'Istituto universitario europeo di Firenze ed esperto di populismo e radicalismo. "La protesta diventa sempre più forte. È arrivata anche al governo in Italia con la Lega Nord. Il rischio è che il prossimo Parlamento europeo, già delegittimato dalla bassa partecipazione, diventi anche ingovernabile".
Foschi presagi per un'Eurocamera destinata ad aumentare sensibilmente i propri poteri, sempre che venga approvato il Trattato di Lisbona, atteso da un secondo, cruciale, referendum in Irlanda. E questo è un mezzo paradosso: nel 1979, quando a Strasburgo si faceva quasi solo turismo, votò il 62 per cento degli europei, ora, che un eurodeputato incide sempre di più sulla nostra vita, i seggi vanno deserti. "C'è un divario crescente", spiega ancora Mény, "tra lo spazio del dibattito politico, al 90 per cento nazionale, e lo spazio delle politiche vere e proprie, che sono sempre più europee e globali. Manca un luogo per la discussione di queste politiche. Senza dei partiti realmente europei, senza programmi continentali e senza un Presidente della Commissione o del Parlamento da eleggere, ci sono indifferenza e un uso opportunistico delle elezioni, che diventano l'occasione per inviare messaggi di protesta".
Una protesta che in tempi di crisi diventa generalmente di estrema destra e che solo in alcuni Paesi viene coagulata a sinistra, come in Francia dal Nuovo Partito Anticapitalista di Olivier Besançonet, in Germania dalla Linke, in Olanda dai Socialisti, in Portogallo dal Bloque de Esquerra e in Grecia dai Comunisti. Per il resto è pericolosamente reazionaria. "Il voto radicale di destra", insiste Mény, "esprime la paura di chi non si sente protetto, di chi viene licenziato per primo, di chi si sente in concorrenza con i nuovi poveri, con gli immigrati". E allora attecchiscono slogan semplici, discriminatori quanto efficaci come 'no all'immigrazione', 'no all'islam', con il corollario naturale di 'no alla Turchia in Europa'. E altri 'no': no ai rom e ai diritti dei gay. I partiti neofascisti e quelli semplicemente populisti, xenofobi, razzisti ed ultraconservatori (i cosiddetti 'neofascisti light') sono dati in crescita in Olanda, Regno Unito, Austria, Belgio, Danimarca, Slovacchia, Romania, Ungheria e stabili in Francia e Bulgaria. In Italia lo sbarramento al 4 per cento chiude le porte europee a Forza Nuova e al Msi, presenti ora a Strasburgo con Roberto Fiore e Luca Romagnoli. Sparirà il nero italiano più profondo, ma si ravviva il verde della Lega Nord, in Europa sinonimo di destra xenofoba. "Passeremo da 4 a 8 eurodeputati", vaticina Mario Borghezio.
"La causa di questo successo è profonda", spiega ancora Mény, "viene dall'indebolimento delle strutture tradizionali, dei partiti comunisti e dei sindacati, della Chiesa e dei partiti democristiani. Queste forze sono collassate. Non è un caso che l'estrema destra sia ben radicata nei ceti popolari".
Ne è la prova la Lega ed anche il BNP, il British National Party, partito neofascista dato dal 'Mail on Sunday' al 7 per cento. Il BNP rischia di raccogliere i suoi primi seggi europei nelle periferie proletarie di Liverpool e Manchester. In Belgio è il caso del Vlaams Belang, VB, Spirito Fiammingo, un partito nazionalista, indipendentista e xenofobo con radici profonde nei collaborazionisti nazisti. Dopo anni di ascese nei consensi tra operai e piccola borghesia, il Belang è dato in calo, ma solo perché cresce la Lista Dedecker, che mastica il verbo della chiusura allo straniero. "Sono due partiti", racconta Manuel Abramowicz, esperto di estrema destra ed animatore del sito Resistances, "che esprimono bene la sindrome della seconda macchina, la paura di chi teme di veder svanire uno status economico raggiunto a fatica" Nel sud, nella parte francofona del Belgio, la versione locale del Front National è destinata a raccogliere un primo, storico, eurodeputato, nelle zone depresse di Charleroi, ex roccaforte socialista. In quest'epoca sono proprio i partiti socialdemocratici quelli che più fanno fatica ad adattarsi alle nuove sfide. A est la musica non cambia. In Ungheria il quotidiano Nepszabadsag dà i fascisti e xenofobi di Jobbik, i Migliori, ben oltre la soglia di sbarramento del 5 per cento. Il loro leader Gabor Vona è anche il capo di una milizia paramilitare, la Guardia ungherese, in guerra contro la "criminalità gitana". Una battaglia condivisa dai bulgari di Ataka e, in Slovacchia, dal Partito nazionalista SNS, che già siede al governo con i socialdemocratici del premier Robert Fico. In Romania, Romania Mare, Grande Romania è data al 10 per cento, trascinata nei consensi dalla candidatura di George Becali, l'uomo più ricco del Paese, presidente della Steaua di Bucarest nonché indagato per sequestro di persona.
Altro personaggio fuori dagli schemi è Geer Wilders, bollato come persona non grata dal Regno Unito. In patria, in Olanda, in molti la pensano diversamente, vedono in lui l'erede di Pim Fortuyn. Il suo Partij Voor de Vrijheid, il Partito della libertà, formazione islamofobica e anti-immigrati potrebbe addirittura superare socialdemocratici e Dc per diventare la prima forza del Paese. In Austria le due creature orfane di Jorg Haider, l'FPÖ, il Partito della libertà, e il BZÖ, il Partito per il futuro dell'Austria, sono date entrambe in ascesa. In Danimarca il Folkeparti, il partito del popolo, formazione che ama chiamarsi di centro-destra ma che detesta immigrati e stranieri, dovrebbe raddoppiare i suoi deputati. Tornerà sicuramente a Strasburgo anche il decano del gruppo, quel Jean Marie Le Pen in Europa dal 1984 e che è stato privato dell'onore di presiedere la prima sessione plenaria della prossima legislatura (compito che spettava al più vecchio eurodeputato, cioè a lui) da un cambiamento di regolamento realizzato in extremis. Altro cruccio per Le Pen: il suo Front National è dato in calo, incalzato dal nazionalista Mouvement pour la France di Philippe de Villier.
Fino ad ora questi partiti hanno faticato assai a farsi vedere, a incidere sulle dinamiche del Parlamento, ostracizzati dagli altri gruppi e incapaci di formarne uno proprio. Ora le cose potrebbero cambiare. Già ai primi di febbraio, su iniziativa del FPÖ, si sono riuniti a Vienna rappresentanti del Vlaams Belang, del Folkeparti, di Ataka e del Front National di Le Pen. L'occasione era un dibattito sul Trattato di Lisbona. "In realtà abbiamo discusso di strategie elettorali", spiega Frank Vanhecke, leader del Vlaams Belang. E di future alleanze.
L'altra grande novità di queste elezioni è proprio l'emorragia di forze euroscettiche dal PPE, che pure con queste perdite si confermerà comunque primo partito in Europa. I conservatori britannici, i polacchi dei gemelli Kaczynski ed anche l'ODS del Presidence ceco Vaklav Klaus hanno deciso di abbandonare i popolari per provare a creare un gruppo più marcatamente euro-critico, un nuovo partito che potrebbe accogliere anche chi fino a poco tempo fa era un indesiderabile di estrema destra. Lo stesso Borghezio lavora attivamente in questa direzione, come collante tra l'euroscetticismo e i gruppi razzisti e xenofobi. Altra incognita è Libertas, il partito euroscettico paneuropeo lanciato dal magnate irlandese delle tlc Declan Ganley, animatore del 'no' nel referendum irlandese sul Trattato di Lisbona. Libertas si presenta in 11 Paesi su 27, sperando di portare a casa deputati in Irlanda, in Spagna, dov'è legata a Miguel Duran, Presidente della Once, la potente associazione di ciechi che gestisce le lotterie nazionali, in Polonia e in Francia. Libertas difficilmente riuscirà a fare gruppo da solo, quindi i suoi deputati diventeranno appetibili per gli altri partiti. Stesso discorso per l'Ukip, l'Uk Indipendence Party, altra formazione euroscettica britannica data al 17 per cento, cioè gomito a gomito con i laburisti di Gordon Brown.
Quel che è certo è che l'estrema destra sembra aver già vinto la partita delle idee. Le sue posizioni, in particolare quelle sulla sicurezza, sono state metabolizzate da diversi governi di centro-destra, dalla Francia di Sarkozy all'Italia di Berlusconi. "La politica italiana è il nostro programma", assicura Vanhecke. Un successo per un partito già condannato per razzismo.
da L'Espresso di Alberto d'Argenzio
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