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lunedì 2 novembre 2009

Alda Merini. Punto

La morte di una persona in un qualche modo ’nota’ scatena sempre onde di rimbalzo. Onde massmediatiche evidentemente. Ma non solo.

Della morte non si parla, non interessa, non piace, almeno all’Italia di oggi. Della morte come ’fatto’. Della morte come ’transito’. Della morte come elemento che cadenza, equilibra, la vita.
Della morte si sussurra sempre dopo, mai prima, mai entro un ’accompagnamento’.

Alda Merini è morta ieri, il 1 Novembre 2009, ma era ricoverata all’Ospedale San Paolo da una decina di giorni. Aveva un tumore osseo.

Ecco dunque che la morte di Alda Merini scatena l’onda. Di voci. Di immagini. Di video e registrazioni varie. Le tecnologie sono capaci di recuperare qualsiasi ’cosa’ possa essere decodificato nel linguaggio a loro conosciuto, le tecnologie riportano ’in vita’, in una vita post mortem, espressioni, corpi che si muovono, sorridono, raccontano (Chi ha mai visto negli ultimi anni così spesso, così assiduamente, e ovunque il corpo di Alda Meridini?).


Le tecnologie recuperano brandelli di vita fissata entro pellicole e altri supporti inanimati. Le tecnologie fanno tutto questo e l’uomo se ne serve al bisogno. Un bisogno, in questo come in molti altri casi, che attende una rottura, un allontanamento, la morte appunto. Un bisogno mutevole, che rifiuta la vita finché è vita, e pare tendersi a riconoscerne pezzetti di carne quando la morte spezza, e spezzando ricolloca la percezione che gli altri hanno di quella vita che non è più vita.

Allora a distanza di dodici, ventiquattro ore il volto di Alda Merini riaffiora tra notizie, entro altre voci che ricordano, riprendono discussioni, eventi, chiacchierate, incontri. Le parole, di Alda Merini, tornano a sporcare angoli di spazi cartacei, virtuali e intimi. La vita di Alda Merini viene spolpata, scalettata, recuperata per spingerla verso una superficialità accessibile a tutti, per dare a chiunque la possibilità di dire o pensare: "Ah sì, l’Alda pazza, l’Alda indigente, l’Alda Grande Poetessa, l’Alda degli eccessi". I sensi, però, i sensi di queste parole, i sensi di questa vita, i sensi di questa donna, di questo corpo che ora - oggi, fors’anche domani - galleggiano davanti all’Italia; questi sensi annebbiati, sfocati, lontani nonostante la tecnica, il rumoreggiare improvviso, fastidioso, alienante che strappa alla routine, alle visioni notturne della domenica, ai risveglia stropicciati del lunedì mattina: questi sensi, insomma, che percezioni lasciano?

Perchè c’è, evidente come in ogni post mortem ’nota’, una percezione della morte, già accennata in precedenza. Ma la percezione della vita? Di quella vita entro carne, scelte, parole, fatti. Alda Merini lavorava di parole. Scriveva. E le parole - si dice - non conoscono fine, sono finchè vengono pronunciate, non finché vengono riconosciuti significati e sensi.

Le parole di Alda Merini ci sono ancora. Probabilmente è quella l’unica carne che potrà - prima o poi - essere saggiata da chi vorrà o potrà farlo. Perché la carne pulsante, sanguinante, malata di Alda Merini non ’era’, non ’esisteva’ per alcuni, fino al pomeriggio del 1 novembre 2009. Per alcuni che possono anche essere molti, non importa in fondo quantificare, aggrapparsi a statistiche fintamente salfiche che tentano spiegazioni numeriche.

Ma ora che la morte ha preso, gli ’altri’ potrebbero non prendere da quella morte, chiamandola vita. Si potrebbe - tutti - tacere. E ascoltare, volendolo, le parole di Alda Merini. Le parole che sono briciole della vita di Alda Merini. Lasciando il corpo a chi quel corpo lo conosceva, a chi quelle espressioni le aveva viste e sfiorate.


La vita non ha senso. Anzi è la vita che ci da un senso. Sempre che la lasciamo parlare. Dobbiamo ascoltarla la vita. (Alda Merini)


http://www.agoravox.it/Alda-Merini-Punto.html

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